Monza – Un «buco» da oltre 2 miliardi di euro, l’entità di una manovrina per mettere a posto i conti dello Stato. A tanto ammonta complessivamente il passivo dei fallimenti pendenti (quindi non ancora chiusi) nel Tribunale di Monza. Un dato riferito al 30 giugno scorso e che tiene conto dei numeri inseriti nelle relazioni presentate sulle società finite davanti al giudice prima di quel periodo. Non sono ancora conteggiate, insomma, le procedure più recenti. Eppure la cifra già così fa abbastanza scalpore. Il territorio del Palazzo di Giustizia brianzolo, d’altra parte, è uno di quelli più industrializzati d’Italia.
Una verità che viene confermata anche per quanto riguarda l’entità dei fallimenti, della crisi economica. I crediti ammessi nei fallimenti pendenti in realtà superano di molto la cifra riportata: si tratta, infatti, di 2 miliardi e 230 milioni di euro. Una cifra consistente così come lo sono quelle relative all’attivo stimato e all’attivo realizzato nei fallimenti. Per la prima voce, che riguarda i beni delle società fallite come sono state valutate, siamo a oltre 820 milioni.
Per la seconda, che concerne quanto è stato effettivamente incassato vendendo i beni a disposizione, si arriva a qualche milione meno di 500. Significativi anche i dati sulle somme ripartite ai creditori chirografari: a loro, che nella lista delle priorità vengono dopo i creditori privilegiati (Erario e dipendenti), va, infatti, il 39,86 per cento del totale delle somme ripartire. Una percentuale che scende al 28,5 per cento se si considera la media ripartita, considerando le medie di ogni fallimento. Ma al di là degli aridi numeri e degli sforzi che il Tribunale produce per ridurre gli effetti sociali della chiusura delle aziende, rimangono le situazioni dei dipendenti lasciati a spasso, dei fornitori non pagati, tutti chiamati, loro malgrado, a pagare il prezzo di errori commessi da altri, aggravati da una crisi come mai se ne erano viste in giro.
Paolo Rossetti