Qualcosa dev’essere successo perché John Elkan, che a ottobre aveva riconfermato la fiducia a Maurizio Arrivabene, abbia cambiato idea e abbia affidato la responsabilità della Gestione Sportiva Ferrari a Mattia Binotto, 49 anni, ingegnere di grande talento motoristico, dal 1995 in Ferrari. Probabilmente Elkan ha voluto confermare il volere di Sergio Marchionne, che aveva deciso di nominare Binotto Team Principal quando era venuto a conoscenza dei diversi pareri che regnavano all’interno della squadra. Dopo gli errori commessi da Monza in avanti dal muretto della Ferrari e da Sebastian Vettel anche John Elkan dev’essersi convinto della necessità di un cambio. E deve aver inciso anche il parere di un ex molto importante e molto ascoltato, Amedeo Felisa la cui esperienza e la grande conoscenza dell’azienda di Maranello ha pesato nella rivoluzione della GES.
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Io penso che il cambio di oggi sia un evento naturale. Perché Binotto, molto corteggiato all’estero da Mercedes e Red Bull, andandosene dalla Ferrari avrebbe portato con sé un prezioso bagaglio di esperienze e di idee, che sarebbe stato pericoloso trasferire a una scuderia avversaria.
È vero che Maurizio Arrivabene fa parte di quella schiera di manager che possono occupare posizioni importanti nelle aziende di tutto il mondo. Ma è anche vero che una azienda che fabbrica automobili e che ha al suo interno una sezione interamente dedicata alle competizioni ha, per dirigerla, bisogno di un uomo delle corse, di un tecnico che conosca perfettamente quel che si deve fare, come lo si deve fare e quando lo si deve fare. A diventare Team Principal Mattia Binotto, che è sempre stato negli uffici dove si progetta, imparerà in fretta. Ha avuto la scuola di quello che io considero il il numero uno, massimo di questa speciale e ristretta pattuglia di uomini delle corse: Jean Todt.
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Maurizio Arrivabene non è uomo delle corse, arriva da una multinazionale che ha partecipato alla formula 1 come sponsor ma senza avere gli atout necessari per riprendere un tecnico quando fa una cosa sbagliata, oppure dare a un tecnico di pista, come può essere l’incaricato della strategia, un suggerimento per risolvere una delicata situazione di squadra. Si dirà: anche Stefano Domenicali non era un tecnico eppure ha occupato la stessa posizione di Arrivabene. Ok, ma Domenicali era uomo Ferrari al cento per cento, nato e cresciuto nell’azienda di Maranello, è vissuto al suo interno e dentro al corpo aveva il sangue rosso e sul corpo le stigmate della Ferrari. E non dimentichiamolo: Stefano Domenicali, al suo primo anno come Team Principal vinse il mondiale costruttori.
Maurizio Arrivabene, pur riconoscendogli grandissime attitudini nel suo lavoro manageriale all’interno della Philip Morris, prima di arrivare a Maranello stabilmente, è sempre vissuto ai margini della Ferrari, in una strada tangente a quella della Scuderia all’interno della quale ha vissuto solo in occasione dei gran premi, non tutto l’anno, non tutti i giorni, non tutte le ore della sua vita. Quindi un’altra dimensione, rispetto a Stefano Domenicali che fra l’altro, non ha avuto a disposizione gli investimenti che invece ha avuto Arrivabene da Sergio Marchionne.
Prima di emettere un comunicato la Ferrari ha aspettato molte ore. Non ha smentito la prima pagina della Gazzetta dello Sport e ha lasciato che i meccanici e i tecnici della GES entrassero al lavoro senza sapere niente di preciso. Alle 18,04 è finalmente arrivato via internet un comunicato in cui si annunciava la scissione: “Dopo quattro anni di impegno e instancabile dedizione Maurizio Arrivabene lascia la Scuderia. La decisione è stata presa di comune accordo con i vertici dell’azienda dopo una profonda riflessione in relazione alle esigenze personali di Maurizio e a quelle della Scuderia. A Maurizio vanno i ringraziamenti da parte di tutta la Ferrari per il lavoro svolto e per aver contributo a riportare la squadra a livelli estremamente competitivi. A lui vanno migliori auguri per il suo futuro e le prossime sfide professionali. A far data da oggi Mattia Binotto assume il ruolo di Team Principal della Scuderia Ferrari. A Mattia continueranno a rispondere tutte le funzioni tecniche”. Un comunicato che dice e ringrazia, come si usa in queste circostanze.
Il passo seguente, a due mesi dalla prima gara del mondiale 2019, riguarderà Binotto che conosce bene gli uomini e sa come vanno impiegati e, prima ancora, come vanno scelti. Il nuovo Team Principal ha un carattere fermo ma non dispotico, ha esperienza sulla gestione degli uomini (tecnici e meccanici) con i quali preferisce il colloquio per la soluzione dei problemi. Ha a disposizione una coppia di piloti di tutto rispetto e non farà l’errore di concedere privilegi. Essendo uomo della Ferrari, di certo nella prima parte del mondiale 2019 darà stesse possibilità a Vettel e a Leclerc tenendo presente, sì, degli interessi della Scuderia ma senza porre loro condizioni, come dev’essere fatto per non creare dannose rivalità. Ma se uno dei due piloti delle Rosse sarà in lizza per il titolo, allora Mattia Binotto pretenderà dall’altro l’aiuto incondizionato, come fece Enzo Ferrari nel 1979 con Gilles Villeneuve e Jody Schekter. Senza parlare di maggiordomi, ma parlando solo di piloti.