Ennio Morlotti, la Brianza e il paesaggio della modernità

Brianzart di Carlo Franza racconta l’invenzione del paesaggio della modernità, proprio quando era sembrato un tema superato dalla pittura. Come accadeva, altrove, con Pollock.
Un paesaggio di Morlotti
Un paesaggio di Morlotti

Un’opera, e non è la sola, datata 1958 (olio su masonite 130×98) e titolata “Paesaggio di Brianza” di Ennio Morlotti, chiarisce bene quanto l’artista lombardo abbia amato la Brianza, il paesaggio di questo territorio, la campagna carica di verde, e quanto debba ad essa l’averla elevata a mito. Quest’opera è stata esposta a “The 1958 Pittsburgh International Exhibition of Contemporary Painting and Sculpture” Carnegie Institute, Pittsburgh, 4 dicembre 1958 – 8 febbraio 1959, n. 306 in catalogo; 
e a “L’Arte Moderna in Europa” Padiglione della Comunità Europea, Esposizione Universale ed Internazionale, Montréal Museum of Fine Arts, Montréal, 1967, cat s.n. (Vegetation I, 1961) in catalogo.

Quel fil rouge che da sempre ha rapportato l’arte pittorica con la natura si è fatto molto difficile nel secolo XX, e altrettanto difficile quanto era facile nel precedente sec. XIX. Artisti tra i maggiori come Soutine, e Permeke e Morandi, non toccati direttamente dalle avanguardie, hanno dato, nella prima parte del secolo, un gran peso alla pittura di paesaggio; ma a tratti, secondo l’ispirazione di un periodo. Con Morlotti, all’inizio degli anni Quaranta del Novecento, risorge improvvisamente un rapporto con la natura, che appare subito profondissimo e fatale.

La natura rinasce all’ emozione dell’artista; scopre di nuovo i suoi segreti, scopre anche la sua drammaticità; infranta è la regola delle avanguardie, tutto sarà natura, la visione, l’immagine, la poesia. E vi sarà, nella vita e nella storia del pittore, solo questo, l’emozione di fronte alla natura, la possibilità di trasformarla in immagine e di suscitare nuova emozione. Quest’amore sviscerato per il paesaggio della Brianza si legge in molti dipinti degli anni ’40 e ’50, basti pensare a “Paesaggio a Malgrate” (Alta Brianza) del ’37, a “Brianza” del ’41 che richiama “il giorno ventoso” del 1907 di Schmidt-Rottluff; due dipinti titolati “Monticello” del 1942, il primo un 40×50 richiama Cèzanne, il secondo di 49×60 guarda al Kirchner ed anche al Von Jawlesky di “costa mediterranea” del 1907; e ancora “Mondonico” del 1944 dove il paese non è più riconoscibile; il dipinto “Brianza” del 1952 presenta la novità del taglio, e una ricerca di procedimento interno, tanto che il cielo è verde; ancora due dipinti “Brianza” del 1953 con tacche di colore rimandano a De Stael, e vi affiorano chiaramente elementi di senso lombardo; persino dipinti degli anni Cinquanta che hanno per titolo carciofi, sterpi, fiori, calendole, svelano l’habitat brianzolo, e soprattutto un Morlotti aperto all’espressionismo astratto.

Ennio Morlotti, la Brianza e il paesaggio della modernità
Mondonico in una vecchia cartolina

E si badi bene che i dipinti che ci svelano dal titolo il fiume “L’Adda”, opere degli anni Cinquanta, il fiume e le sue anse, le verdi rive, e i ridenti paesi, non mostrano un Morlotti pittore locale, ma un grande pittore cha ha ormai acquisito costruzioni più calibrate, disposizioni spaziali più coraggiose, che guardano a Cèzanne.

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I dipinti anni Cinquanta che si titolano “Imbersago” -ne ho individuati sei- mostrano la sua pittura legata alla civiltà più alta dell’Informale europeo. Giuseppe Marchiori ha scritto: “Morlotti ha cercato una pittura organica… nudi ed erbe sono la stessa cosa, si legano all’atmosfera del paesaggio, alla penombra ed alla luce di Imbersago che non esiste che nella realtà fantastica vista da Morlotti”. Il pittore lombardo riesce a mantenere la natura in fortissima vibrazione per un così lungo tempo, e per una così vasta opera, quel rapporto che sa quasi d’ istinto e genialmente porta a creare un nuovo linguaggio che vi corrisponda, e darvi il più vero senso della modernità. C’ è solo un altro pittore, non casualmente suo coetaneo, che, con tutte le differenze proprie a due originali creatori, ha vissuto una situazione simile, è Jackson Pollock.

Morlotti e Pollock, il primo in Brianza e il secondo nel Wyoming (Il Wyoming è uno Stato degli Stati Uniti, quello con minore popolazione. La capitale dello Stato è Cheyenne), all’ insaputa l’uno dell’altro, consapevoli solo di quella grande forza interna che li spingeva a scoprire e ad attingere nella natura il ritmo della vita e l’origine della poesia, e non più conseguente armonia (come i pittori lombardi del Cinquecento e come gli indiani), ma conseguente angoscia; Morlotti e Pollock, è bene saperlo, creano il paesaggio della modernità. E’ stata un’impresa enorme, che per Pollock si è potuta vedere esposta in tutta la sua grandiosa vertigine nella mostra del 1982 a Parigi; e per Morlotti -sempre nell’82- si è vista in tutta la sua potenza lirica ed espressiva nella mostra milanese a Palazzo Reale.

Ennio Morlotti, la Brianza e il paesaggio della modernità
Mondonico in una vecchia cartolina

Morlotti ricorda che tornare alla Brianza non è dipingere sul naturale ma dipingere con dentro una carica diversa, una storia, tanto che egli afferma: “con un sottofondo barbarico si può tornare anche alla Brianza”. Ci sono luoghi e territori che nella storia dell’arte e in taluni pittori sono stati elevati a miti, territori salvati dalla loro creatività, italiani e stranieri, Cèzanne trovò la Provenza, Morandi la Grizzana, Morlotti la Brianza, Purificato la Ciociaria, Ciardo il Salento e potrei continuare. Marco Valsecchi e Giorgio Mascherpa in “Aspetti del naturalismo lombardo da Gola a Morlotti” (1975) scavavano nel paesaggio brianzolo come fonte di ispirazione; successivamente Maurizio Calvesi ed Enrico Crispolti avevano fatto riferimento al Gola in relazione a Ennio Morlotti, in modo certo molto sfumato, con indicazione a un localismo, ovvero al medesimo paesaggio, Mondonico.

Ed ecco poi all’ inizio degli anni Cinquanta, nel 1952 precisamente, riapparire la “parete con un po’ d’ angoscia”, il paesaggio moderno di Morlotti. Difficile dire cos’è questo decennio, quando Morlotti crea, con grandiosa accensione, un poema drammatico, febbrile, scavato entro la sua passione e dentro il ritmo della natura; dipinge “colline a Imbersago”, “versanti sull’ Adda”, vegetazioni, granoturchi, calendule, fiori d’ autunno, nudi nell’ aria, sulla terra, campagne fiammeggianti come sangue.

Franco Russoli ha mostrato una lettura lombarda di Morlotti e trattando delle opere degli anni tra il ’46 e il ’53 riconosce nei paesaggi dell’Adda e della Brianza il momento della continuità del “naturalismo”, quel filo storico che discende dal romanico e via via arriva a Caravaggio, Courbet e Morandi; tracciato individuato da Mario Ghilardi che sottolinea nel pittore lombardo il mantenimento della mitologia della riscoperta della natura della Brianza segnata dalla “svolta” del 1950. 
La tesi critica che maggiormente ha fatto discutere in quest’ultimo decennio, avanzata da una serie di studiosi -Marco Valsecchi e Giorgio Mascherpa, ma anche Arcangeli, Testori e Calvesi- resta quella che ricondurrebbe Morlotti non solo genericamente ad un senso “padano” oppure “lombardo” della natura ma, direttamente, alla tradizione pittorica ottocentesca locale, brianzola, connessa proprio al Mondonico di certi paesaggi, che muove da diverse fonti, e maggiormente da Gola.

Ennio Morlotti, la Brianza e il paesaggio della modernità
Mondonico in una vecchia cartolina

Ma sottolineo fortemente che un’opera dal titolo “Meriggio a Monticello” del ’42 che pure si presenta come un paesaggio quasi convenzionale, è quella che senza dubbio lo avvia a nuove letture pur senza ancora farlo apparire pittore dell’avanguardia. E affrontando il tema della natura in Morlotti, Marco Valsecchi nel 1963 in occasione di una mostra dell’artista all’Annunciata a Milano parlava dei luoghi di Morlotti, della Brianza, del lago a Lecco e dell’Adda ad Imbersago, e osservava: “…non si riferiva a una località geografica precisa ma a una dimensione dell’anima, dove il cuore può traboccare di intime afflizioni affettuose, senza contraddire la voce più distesa della poesia”.

Carlo Franza

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Ennio Morlotti, la Brianza e il paesaggio della modernità
Mondonico in una vecchia cartolina

Nato nel 1949, Carlo Franza è uno storico dell’arte moderna e contemporanea, italiano. Critico d’arte. È vissuto a Roma dal 1959 al 1980 dove ha studiato e conseguito tre lauree all’Università Statale La Sapienza (lettere, filosofia e sociologia). Si è laureato con Giulio Carlo Argan di cui è stato allievo e assistente ordinario. Dal 1980 è a Milano dove tuttora risiede. Professore straordinario di storia dell’arte moderna e contemporanea (Università La Sapienza-Roma) , ordinario di lingua e letteratura italiana. Visiting professor nell’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e in altre numerose università estere. Giornalista, critico d’arte dal 1974 al 2002 a Il Giornale di Indro Montanelli, poi a Libero dal 2002 al 2012. Nel 2012 ritorna e riprende sul quotidiano “Il Giornale” la sua rubrica “Scenari dell’arte”.