Monza – Cellule staminali che portano come “taxi” il farmaco che combatte il tumore e lo rilasciano una volta raggiunto l’obiettivo: a questa cura, più potente e meno invasiva della tradizionale chemioterapia sta lavorando Augusto Pessina, monzese, professore del dipartimento di Scienze Biomediche ,Chirurgiche e Odontoiatriche dell’Università degli Studi di Milano.
“Stiamo ancora studiando le modalità di applicazione –tiene a precisare il ricercatore – ; attualmente siamo alla fase preclinica, al test con i topi”. Pessina usa il plurale per indicare la collaborazione nello studio con altri colleghi: Giulio Alessandri, del Laboratorio di Neurobiologia del Carlo Besta di Milano, ed Eugenio Parati, che ne è il direttore. Nella partita figurano anche l’ospedale Gemelli e l’istituto dei tumori Regina Elena di Roma. Il campo d’azione è quello dei tumori cerebrali e le metastasi polmonari.
Dopo il test sugli animali si potrà passare alla fase di sperimentazione sugli uomini: questo il passo compiuto a un anno dalla pubblicazione della scoperta, pubblicata sulla rivista scientifica Plos One. Pessina ci svela le caratteristiche della scoperta: “Si tratta di cellule mesenchimali umane, isolate dal midollo osseo o dal grasso che hanno la capacità di assorbire il farmaco antitumorale, già noto ed utilizzato. Come se si gonfiassero a dismisura. Una volta immesse nel tumore lo rilasciano. Questo assicura alle cellule tumorali un ‘danno ‘ più efficace e selettivo. L’applicazione non sostituisce la tradizionale chemio, ma costituisce una terapia più specifica che può anche evitare effetti collaterali”. Ovvero, come è noto, l’uccisione di cellule sane da parte del farmaco, che crea al paziente pesanti problemi.
Ma dove finiscono le cellule “taxi”? “Ecco – spiega Pessina – il problema è importante e stiamo lavorando anche su questo aspetto. Il 90% delle cellule muore una volta rilasciato il farmaco: sono anche loro uccise dal’effetto tossico del farmaco, perdono la capacità di dividersi e questo per loro significa anche la morte. Non tutte hanno questo destino perciò dobbiamo verificare che non producano danni all’organismo. Ci rende ottimisti il fatto che cellule mesenchimali sono già usate in terapia e non hanno prodotto danni”.
Le mesenchimali sono isolate dal paziente stesso , e possono essere anche conservate in una sorta di “banca” per essere utilizzate all’occorrenza. Quanto tempo ci vorrà prima che questo tipo di cura diventi realtà? Il professore non si sbilancia, per non creare attese angoscianti in chi è colpito da tumore. “Posso solo dire che ricerche sulla applicazione proseguono : Altri studi che confermano la positività della strada sono stati appena pubblicati sul British Journal of Hematology”.
Antonello Sanvito