Bonatti e la conquista del K2Su Rai 1 una fiction col fiato corto

Montagna sacra, fiction blasfema. Storia dal fiato corto. E' la miniserie andata in onda su Rai 1 sulla conquista del K2: con un Walter Bonatti lontano dalla realtà, pur nella volontà di fare chiarezza sulla più controversa conquista di una delle montagne venerate dalle genti himalayane.
Bonatti e la conquista del K2Su Rai 1 una fiction col fiato corto

Monza – Montagna sacra, fiction blasfema. Storia dal fiato corto. E l’altitudine non c’entra. Walter Bonatti, il K2 lo perseguita anche ora che non c’è più. Si dirà: una fiction è una fiction. Ma questa è stata pure irriverente nella (solo buona) volontà di far ulteriore chiarezza sulla più controversa conquista di una delle montagne venerate dalle genti himalayane. Non c’è bisogno d’esser critici televisivi per decretarne solenne bocciatura. Ascolti record per K2- La montagna degli italiani ma c’è ben poco da salvare della miniserie presentata in prima serata lunedì e martedì da Rai uno sulla storica ascensione del Chogori, la montagna bianca vinta la sera del 31 luglio 1954 dalla spedizione dei dodici alpinisti italiani guidati da Ardito Desio.
Nel lavoro del regista austriaco Robert Dornhelm (lo stesso che nel 2010 ha firmato la pellicola inglese su Amanda Knox) poco rispetto (e conoscenza) della filosofia della montagna e del monzese, il più grande tra i grandi nel mondo del verticale.

La fiction è una ricostruzione low cost della grande avventura con ricerca storica da enciclopedia Conoscere (soprattutto nella prima tragicomica puntata), sequenze estremamente romanzate, banali dialoghi (in inglese, poi doppiati) e attori che, con tanta buona volontà, si ritrovano ad arrampicare gli 8.611 metri della montagna bianca con la tecnica di un bagnino. Convinti dell’impossibilità di tradurre in semplice fiction gli eventi del 1954, eravamo pronti a digerire tutto. Ma non un Bonatti (interpretato da Marco Bocci) che parla con l’accento di Pupone Totti, gioca a bandiera saltellando sul Cervino e passa pure per uno sciupafemmine. A parziale difesa dello sforzo della coproduzione italoaustriaca (le scene della scalata girate praticamente a chilometro zero, sul ghiacciaio tirolese di Solden, quota 3.500 metri sul livello del mare, e a Innsbruck): l’obiettivo era esclusivamente quello di mettere per immagini senza eccessivi sforzi meningei ed economici quanto sentenziato dal Cai nel 2008 (giustizia fatta, ma con 54 anni di ritardo).

Per tutto quel tempo il Club alpino ha sempre sostenuto la veridicità del racconto del capospedizione friulano Ardito Desio, geologo, scienziato, esploratore, alpinista e pioniere. Nella fiction interpretato da Giuseppe Cederna. Ne esce – non per colpa dell’attore – una macchietta, il classico autoritario scienziato pazzo dei cartoni animati del gatto Felix. Il resoconto di Desio (quanto mai lacunoso soprattutto nella parte che trattava l’assalto e l’arrivo in vetta di Achille Compagnoni e Lino Lacedelli) resisterà per oltre mezzo secolo come versione ufficiale, tanto che lo stesso capospedizione ne fece un libro. E per oltre mezzo secolo Bonatti raccontò un’altra verità sui quei fatti. Con grande determinazione e senza mai scendere in polemica anche con chi, in quella spedizione, lo aveva messo subito tra le riserve di lusso dopo aver lasciato in Italia addirittura Riccardo Cassin con la strumentale accusa di inidoneità fisica. Cassin come Bonatti. Due leader che avrebbero oscurato la figura di Desio.

Dopo 50 anni di colpevole silenzio, nel 2004 il Cai affida ai tre saggi Fosco Maraini, Alberto Monticone e Luigi Zanzi l’incarico di far luce sulla contrastata conquista della seconda vetta della Terra. La relazione dei saggi, quattro anni dopo, non lascia dubbi. E non desta scalpore. Perché tutti sapevano che Bonatti aveva ragione. Ma mancava l’imprimatur del Club alpino. I grandi alpinisti sono dei veri anarchici, per loro conta solo la cima. Ma a tutto c’è un limite. Nel libro-intervista di Giovanni Cenacchi lo stesso Lacedelli ammise, nell’anno del cinquantenario dell’arrivo in vetta, che non tutto era andato come Desio aveva scritto. Perfino Compagnoni fu costretto a dire che sì, forse qualche particolare andava corretto. E un ruolo determinante alla ricerca della verità è da attribuire a Robert Marshall (1926-2011) sfociata nel libro K2.Tradimenti e bugie. Il chirurgo australiano ha dedicato diversi anni alla ricostruzione della vicenda imparando appositamente l’italiano e traducendo nel 2001 Montagne di una vita di Bonatti, al quale era legato da una profonda amicizia. Nel 2008 i saggi incaricati del Cai misero una pietra sopra ad una montagna di polemiche. K2, una storia finita (con questo titolo andò alle stampe per Priuli e Verlucca la relazione dei tre). Questa la storia vera. L’ultimo campo base (il nono) venne spostato di luogo e di quota, contravvenendo a quanto convenuto, da Compagnoni e Lacedelli.

I due vincitori del K2 non si misero in contatto con Bonatti e l’hunza Mahdi che avevano trasportato a quota oltre ottomila le bombole d’ossigeno per l’attacco finale di Compagnoni e Lacedelli. Non trovando i due compagni, Bonatti e Mahdi furono costretti ad un tragico bivacco. Punto tre, importantissimo: l’attacco finale di Compagnoni e Lacedelli fu reso possibile grazie all’uso dell’ossigeno fino agli 8.611 metri della cima. Verità sempre taciuta dai due alpinisti e ben protetta da Desio, padre-padrone della spedizione. Quarto ed ultimo punto. Il punto. Fondamentale. Bonatti fu decisivo per la conquista del K2. Alla fine della fiction, come in tutte le storie di grande fantasia, tutti vissero felici e contenti. E famosi. Lacedelli trova la compagna della vita, Compagnoni si fa un albergo, Desio nominato cavaliere della Repubblica dal presidente Einaudi. Tutti felici e contenti. Tranne Bonatti.
Angelo Maria Longoni