Argentina, Taranto e la sua Ilva«Io bimbo a giocare tra i fumi»

Cosimo Argentina, uno dei frutti migliori che Taranto ha saputo dare al movimento letterario italiano, da circa 20 anni residente in Brianza. L'Ilva è già stata protagonista del suo libro ”Vicolo dell'acciaio”. Pagine in cui parla di padri operai in una cokeria.
Argentina, Taranto e la sua Ilva«Io bimbo a giocare tra i fumi»

Seveso – E’ cronaca di questi giorni: le sorti dello stabilimento Ilva pendono sulle teste dei cittadini di Taranto e di tutte le persone che a vario titolo sono coinvolte nella storia di quella che è la più grande acciaieria d’Europa. Quanto sta accadendo ci viene raccontato attraverso gli occhi di Cosimo Argentina, uno dei frutti migliori che Taranto ha saputo dare al movimento letterario italiano, da circa 20 anni residente in Brianza. Cosimo nei suoi romanzi ha spesso raccontato della città e delle sue persone. L’Ilva è già stata protagonista del suo libro ”Vicolo dell’acciaio” (edito da Fandango). Pagine in cui parla di padri operai in una cokeria, di un luogo terribile, con temperature impressionanti, dove si lavora in condizioni che uccidono. Morti bianche. Quando non arrivano gli effetti cancerogeni delle emissioni.

Quale osservatorio più privilegiato per cercare quindi di capire cosa sta accadendo? «Taranto è divisa in due fazioni – racconta lo scrittore, attualmente proprio in Puglia in visita alla madre – da una parte i sostenitori del diritto al lavoro, che vorrebbero scongiurare la chiusura, dall’altra quelli del diritto alla salute». E’ sempre lui a spiegare che c’è poi un terzo orizzonte, seguito dai politici oltre che dalla magistratura, quello della bonifica e di una messa a norma degli impianti: «Un’ipotesi che mi pare utopia – commenta ancora – occorrerebbero grandi investimenti per salvare una fabbrica che sta diventando improduttiva. Ora vi sono legate 12mila unità produttive a fronte delle oltre 40mila degli anni 80. E’ una caduta verticale. Sta cambiando un era». Perchè non è solo la concorrenza asiatica a metter in ginocchio l’intero settore (in Cina ad esempio la produzione non è sottoposta a normativa Seveso), ma soprattutto il progressivo passaggio dall’acciaio ad altri materiali: «Senza contare che stiamo parlando di una città in cui si registra un’incidenza di tumori 100 volte maggiore alla media italiana».

E’ stata la disattenzione di tutti a produrre questa situazione: «Quando portarono lo stabilimento a Taranto tutti ci dicevano ”ma che fortuna”, ha portato lavoro alla città ed alle zone limitrofe. Conosco molti amici che sono arrivati in Puglia anche dal centro Italia – prosegue Cosimo – ma negli anni 80 non c’era coscienza ambientale, e si è continuato per questa strada consapevolmente. Ora la tensione è palpabile. Il 2 agosto sono stati cacciati i big dei sindacati. Non era mai successa una cosa simile, per fortuna non è successo nulla. Per Taranto e per chi come me aveva un papà che vi lavorava, che è cresciuto nel rione Italia, tra i fumi dello stabilimento, assieme a Tamburi sorto proprio per dar casa ai lavoratori dell’Ilva, lo stabilimento ha scandito le ore del giorno». E la cronaca locale è piena di nera, perchè basta uno schizzo per essere sfigurati, o peggio. Argentina vede l’esperienza della grande industria a Taranto definitivamente chiusa. La speranza è nei giovani: «Che possano rivedere la vocazione di una città che ha potenziale enorme, ma che ha una nomea pessima. Puntare sul terziario, come ha fatto il vicino Salento. Lo spegnimento dell’Ilva sarà la fase più dolorosa» ma quella che è stata la capitale della Magna Grecia ha nel suo dna tutto quel che occorre per creare ”respiro” ed un movimento di opinione che possa attirare un nuovo futuro.

Gionata Pensieri