Alex Bellini ospite del PanathlonRacconto di mare, racconto di vita

Alex Bellini ospite del PanathlonRacconto di mare, racconto di vita

Monza – Tre ore senza una parola banale, senza retorica. Qualcuno può anche chiamarlo folle, irresponsabile, ma sarebbe un giudizio ingiusto e frettoloso. Perché se c’è qualcosa che insegna, Alex Bellini, è che è proprio la fretta ciò da cui bisogna guardarsi. Parola di un ragazzo, alto, magro e con un naso lungo e sottile che perfora una schiuma di barba, che per allontanarsi da tutto questo è sceso in mare. E ci è restato per dieci mesi, solo, remando dalle coste del Perù a quelle dell’Australia. Portando con sé la voglia di vivere il contatto con la natura e con sé stesso, ma anche i sogni di chi in lui ha visto un Ulisse dei giorni nostri. In cerca di quell’Itaca che, un po’ per tutti, è il vero senso della vita.

La serata che ha celebrato il trentenne valtellinese è stata vissuta con grande partecipazione emotiva dai soci del Panathlon Monza e Brianza, riuniti lo scorso giovedì per la consueta conviviale mensile. Diversamente non sarebbe potuto essere, visto che di fronte c’era un ragazzo che timido era, ma ha dovuto cambiare quando la vita l’ha privato di uno degli affetti più cari. E ora Alex guarda tutti negli occhi, uno sguardo di ghiaccio che non si abbassa mai. Ma non è arroganza. È la sincerità di chi non ha niente da nascondere, perché centinaia di giorni solitari in mare ti permettono di scavare fin nel più remoto angolo del cuore.

È il maggio 2008 quando Bellini parte da Lima, direzione Sidney, a bordo di una barca da sette metri e mezzo per uno e ottanta, tecnologica in tutto fuorché nel motore. Che sono le braccia del rematore, venuto dalle montagne. Dall’Aprica per vivere il mare come nessuno. Un po’ come Alberto Tomba, un po’ come Marco Pantani. Ma al contrario. “La mia fortuna è che non so dire quale sia il motivo per cui lo faccio”, confessa di fronte alla più spontanea delle domande: perché? Lui che già tre anni prima aveva fatto rotta verso Fortaleza, in Brasile, partendo da Quarto. Garibaldi di sé stesso.

In mare aperto si tratta di combattere con venti a trenta nodi e onde a forza otto, di superare l’orizzonte visivo. Ma ovviamente anche il proprio. In una costante ricerca di sé, nonostante a casa ci sia Francesca, moglie e novella Penelope. Che ad Alex fa da addetta stampa, da dolce metà e anche da prima tifosa. Tanto da essere lei, per prima, a suggerire al giovane marito nuovi lidi. “Perché c’è bisogno di un faro, di un punto di arrivo”, spiega lei, “ma anche di un’ancora, che non ti faccia andare alla deriva nei momenti difficili”. Come quando piove da giorni e, lontano da mesi da ogni altro essere umano, capisci che vorresti solo essere a casa, sul divano. Proprio con tua moglie. “Il mare è maestro di vita, di solitudine. Ci si vede riflessa la propria immagine, ti si allagano gli occhi del mare”, spiega Bellini.

La sua impresa, lo scorso anno, si è conclusa a 60 miglia dalla costa australiana, dopo 294 giorni, 42 settimana di solitudine. Respinto dalla forza degli elementi, quando l’attenzione mediatica internazionale raggiungeva il culmine nel dispiacere per la mancata riuscita di un’impresa con finale per tutti “doverosamente” scontato. Bellini è stato rimorchiato a meno di due giorni dall’arrivo e trasportato sulla terra ferma.

“È stato l’insuccesso più bello della mia vita”. Solo, così a lungo e senza fretta. Ha avuto tutto il tempo di perdersi e di ritrovarsi. “Tra quello che ero e quello che volevo diventare c’era di mezzo il mare”. Come spiega, “non cercavo libertà fuori da Francesca”, confida guardandola. “Il matrimonio è libertà”, e l’impresa l’arricchito. Per sé e per gli altri. “Non bisogna avere paura della paura, perché è lei che ti permette di tornare a casa”. E di raccontare come ora, in attesa di diventare papà, abbia inciso un cd di canzoni per beneficienza. “Simbad il marinaio”, ovviamente. Per aiutare i bimbi in Italia e in giro per il mondo. E in attesa di avere il suo.
Stefano Arosio