Annunciate da anni come la rivoluzione sanitaria del secolo. Fiore all’occhiello della medicina di prossimità. Ed ancora, la svolta epocale nella gestione territoriale. Poi alzi lo sguardo e… nulla. Le Case di Comunità esistono, ma sono come le scie chimiche: tutti ne parlano, nessuno le vede davvero. Una sorta di promessa mitologica. Ogni tanto se ne inaugura una, magari col nastro tagliato da tre assessori, due sindaci e un tizio che passava di lì per caso. Ma l’inaugurazione avviene con una cerimonia più sobria di un briefing della Nasa. Nessun clamore: solo la speranza che nessuno chieda “sì, ma quando apre sul serio?”. I ritardi? Più lunghi dell’attesa per una visita endocrinologica. La trasparenza? Peggiore del parabrezza alle 7 di mattina con i tergicristalli rotti. L’informazione? Praticamente un codice cifrato. L’unica cosa certa è che da anni se ne parla più delle buche stradali, ma con meno soluzioni. L’unica che attualmente esiste e funziona è quella di Vimercate. Nel resto della Brianza sono come gli unicorni. Così i cittadini si devono arrangiare: chi riesce va dal medico di base, chi può paga il privato, chi non può incrocia le dita e spera che non gli venga niente di più grave di un raffreddore. Ma tranquilli: le Case di Comunità stanno arrivando.Lentamente. Tipo comete. Anzi, più lentamente. Dicono che cambieranno tutto. E mentre le Asst compilano progetti, fanno bandi, inviano mail in copia conoscenza al multiverso, la gente si chiede: “Ma ‘sta Casa di Comunità… la costruiscono con i Lego?”. Forse un giorno le troveremo tutte. Magari sbucheranno tutte insieme, tipo collezione Panini. Oppure scopriremo che erano nascoste in bella vista, tipo le navicelle aliene nei film anni ’90: basta crederci. Almeno gli Ufo ogni tanto inviano un segnale. Le Case di Comunità, invece, nemmeno quello.
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