La stronza, la sinistra e il galateo. A Monza le abbiamo tutte tranne, forse, l’ultima. Succede che una presidente del Consiglio comunale, donna, femminista, progressista, antifascista certificata, compagna impenitente, insomma tutto l’archetipo dell’immaginario collettivo di sinistra, in un momento di altissima tensione politica, trovi come unica via d’uscita una parola tanto antica quanto efficace: stronza.
E lei, Cherubina Bertola, che di celestiale ha solo il nome, la regali, con tono fermo e convinto, a una consigliera di opposizione di centrodestra. In aula davanti a tutti. Ora, che la politica locale sia un terreno accidentato è cosa nota, ma nessuno si aspettava che il conflitto tra maggioranza e opposizione si giocasse con il vocabolario del kebabbaro di corso Milano alle 6 del mattino.
Non è solo questione di tono: è proprio questione di lessico. Eppure lei, la presidente, quella che dovrebbe garantire l’equilibrio dell’aula e difendere le minoranze (almeno quelle politiche), ha trovato in quel termine tanto volgare quanto incisivo la cifra del suo mandato. Altro che inclusione. Qui siamo alla collusione verbale con la rabbia. La grammatica dei buoni sentimenti, rottamata in nome della spontaneità di sinistra. Ora, immaginiamo per un istante l’inverso. Un politico maschio, magari con qualche busto del Duce in ufficio, che apostrofa una collega con lo stesso epiteto. Apriti cielo. Ma quando a sdoganare l’insulto è una compagna, allora tutto si stempera. La solita sinistra con l’alibi sempre pronto e la coerenza in ferie. E lo fa con la sicumera di chi, essendo dalla parte giusta della storia, tutto le sia concesso. Magari, per la prossima seduta, anziché bandiera rossa canteranno una canzone di Marco Masini.