Buongiorno, ho un cane che tira al guinzaglio ed è in generale molto agitato, ha due anni e speravo si calmasse un po’, ho provato varie cose sia come strumenti di conduzione (diversi guinzagli, collari, pettorine) sia il kennel per farlo stare tranquillo, ma se all’inizio sembra che qualcosa facciano, sul lungo termine torna a essere quello di prima. Come posso fare? Sara
Buongiorno, quando un cane si mostra “agitato”, l’unica cosa sensata da fare è capire perchè. Se non capiamo le motivazioni alla base dei comportamenti, non riusciremo mai a risolvere il “problema”. È un po’ come prendere un antiacido per il mal di stomaco o un antidolorifico per il male a un ginocchio, può funzionare sul momento, ma per avere risultati a lungo termine è necessario capire e risolvere il problema alla radice, altrimenti il dolore tornerà.
Il concetto di “educazione” in effetti, viene spesso confuso con il “controllo”, ma sono due cose diametralmente opposte. L’educazione mira a fare emergere il potenziale del cane, a farlo sentire a suo agio nelle diverse situazioni, fornendo la possibilità di vivere esperienze che permettano al soggetto di avere più competenze nel suo bagaglio perché possa sapere come comportarsi. In effetti, se ci pensiamo, il cane del giorno d’oggi vive in un mondo fortemente antropocentrico, in cui deve adeguarsi a schemi, luoghi, abitudini, situazioni molto diverse da quelle che la sua natura offrirebbe. Si rende dunque necessario, per una pacifica convivenza, lavorare su due fronti: da un lato permettergli di “essere cane” il più possibile, perché possa esprimersi in modo naturale e spontaneo; dall’altro, fornendo esperienze che possano permettergli di vivere serenamente in contesti “umani”. Insomma, non è corretto chiedere al cane di adeguarsi a noi costantemente dimenticando che la sua natura richiede altro; bisogna venirsi incontro da entrambe le parti.
Il controllo invece, punta a contenere il cane, impedendogli di fare qualcosa che per noi è sgradito, come usare metodi coercitivi quando il cane tira. Se il cane tira al guinzaglio, ad esempio, perché vorrebbe correre e non ha mai la possibilità di farlo perché non fa paseggiate da libero, l’unica via resta il controllo: uso strumenti che causino dolore o fastidio così che il cane, se tira, provoca un malessere e, teoricamente, smetta di farlo. In realtà, come ah potuto lei stessa constatare, questo tipo di lavoro funziona solo all’inizio, poi la voglia del cane di andare torna e si fa sentire nonostante il dolore/fastidio. Se però io permetto al cane di farsi le sue corse, tenere il ritmo che preferisce, interagire con i suoi simili, allora poi posso chiedergli un piccolo sacrificio in un altro momento e tenere un’andatura adatta alla mia per fare una passeggiata al guinzaglio. È un dare e avere da entrambe le parti: prima io soddisfo i tuoi bisogni, poi tu sarai più sereno e appagato per venirmi incontro. Se un cane tira per andare da tutti i cani che incontro per strada e io ogni volta te lo impedisco, il cane avrà sempre il desiderio di andarci e per farlo tirerà; se invece io lo porto spesso a incontrare i suoi simili e può interagire con loro da libero, glii sarà più facile accetare che qualche volta io glii chieda di venire via.
La gestione del cane attraverso il controllo punta a inibire ogni comportamento per noi sgradito, senza nemmeno chiederci perché il cane si comporta così; senza sapere cosa lo porta ad assumere certi atteggiamenti noi potremo solo inibirlo, facendo capire che verrà punito se mette in atto certi comportamenti. Ad esempio: se tiri verso un altro cane io tiro uno strattone che ti crei dolore o quanto meno fastidio; questo, su alcuni cani crea una condizione di “chiusura”, tanto che il cane poi non guarda più in giro, non annusa, non prova a prendere direzioni diverse. Il cane si arrende a non fare il cane in sostanza. Questi cani rischiano la depressione e la sindrome da impotenza appresa (cioè pensano di non potere mai prendere iniziative per il rischio di essere puniti). Altre volte, il cane entra in uno stato di enorme frustrazione, che li porta a innervosirsi, abbaiare, mordere il guinzaglio, saltare addosso. Altre volte l’associazione mentale dei due eventi “vedo un cane” e “sento uno strattone al collo” fa sì che il cane inizi a collegare i due eventi come causa-effetto, come se fosse la vista del cane stesso a causare il dolore, e questo spesso porta a un grosso problema di convinzione rispetto ai simili che il cane si crea, andando a creare un’anticipazione nel cane che quando vede un altro cane reagisce ancora più violentemente. Spesso in queto caso vengono puniti ancora di più, portando alla rottura della relazione di fiducia e comprensione che vorremmo invece avere con il nostro amico a quattro zampe. Il cane si sente totalmente incompreso.
Lo stesso discorso vale per altri tipi di “problemi”, come il cane agitato in casa che viene rinchiuso nel trasportino: se il cane non si agita, non abbaia, non cerca di evadere, spesso non è perché si calma, ma perché si arrende; il suo malessere interiore però resta e troverà il modo di emergere in altri tipi di problematiche, come il leccamento o mordicchiamento compulsivo di parti del corpo fino a ulcerarsi, ad esempio.
Io ritengo che non sia eticamente corretto risolvere i problemi inibendo i comportamenti tout-court, ma sia necessario capire le radici, le cause emotive di questi comportamenti, che non sono che la punta dell’iceberg, l’espressione di uno stato interno. È come se a una persona che prende a calci le sedie si legassero le gambe per impedirglielo; è chiaro che questo comportamento sia sgradito ed è altrettanto chiaro che sotto vi sia un disagio; legando le gambe abbiamo risolto il problema della persona? No, abbiamo risolto il nostro, evitando di avere baccano e le sedie a terra. Se però cerchiamo di capire cosa porta questa persona a comportarsi così, forse potremo aiutarla a risolvere quel disagio e fare in modo che si senta abbastanza serena da non farlo più. È chiaro che con un cane è più difficile capire il motivo del malessere che lo porta a mettere in atto certi comportamenti, anche solo per il fatto che non possiamo parlarci. È altrettando evidente però che, se abbiamo deciso di prendere un cane a vivere con noi è nostro compito prendercene cura e la cura è anche sull’aspetto psicologico, non solo fisico (gli do da mangiare e lo porto dal veterinario). Quando questa comprensione avviene tutto diventa più semplice perché possiamo cambiare alcune cose nella sua vita per permettergli di risolvere questo malessere e, fatto questo, il cane si sentirà compreso e sarà più sereno; a cascata spesso i comportamenti sgraditi si risolvono senza avere cambiato strumenti o lavorato specificatamente su quel tema (ad esempio, senza avere fatto esercizi sul guinzaglio).
Quando risulta difficile capire quale sia il problema alla base (ed è frequente) un aiuto da un professionista può essere un’ottima soluzione; è difficile essere oggettivi quando si tratta del nostro cane, quando siamo esasperati e non riusciamo a capire.
Anna Randazzese *
* Laureata in psicologia e Istruttrice Cinofila, lavora sul territorio di Monza e Brianza con attività individuali e collettive, proponendo percorsi di educazione e riabilitazione comportamentale a tutti i tipi di cani, dai cuccioli appena arrivati a casa a cani adulti con problematiche comportamentali anche complesse. Potete visitare il sito web www.aseizampe.com o visitare la pagina facebook Aseizampe