La crisi politica degli ultimi giorni, piombata nel bel mezzo di un contesto generale già drammatico, ha riportato al centro del dibattito la contrapposizione tra i sostenitori dell’equazione “responsabilità uguale stabilità” e coloro per cui, in mancanza di una maggioranza convinta a supporto dell’azione di governo, è invece assai più responsabile lasciare la parola alle urne (e, quindi, al popolo italiano cui pure la sovranità, stante la nostra Costituzione, dovrebbe appartenere).
Chi ha ragione? Chi ha torto? Non spetta a chi scrive fornire una risposta. Che l’allergia al voto di molti deputati e senatori della Repubblica, stando alle dichiarazioni mossa sempre e solo da nobilissimi sentimenti, sia figlia più di prosaiche contingenze personali (come, tra le altre, la necessità di maturare l’agognato diritto alla pensione da parlamentare) che non di altro è, però, più una certezza che un dubbio. E, visto che l’Italia è una democrazia rappresentativa, questo pone necessariamente più di un quesito sull’effettiva rappresentatività, rispetto alla volontà popolare, di certe posizioni di assoluta ostilità alle elezioni. Perché, al netto di manifestazioni più o meno spontanee e partecipate a favore di Draghi, è innegabile che un certo malessere ci sia. Sforzarsi di comprenderne le ragioni, quindi, non può e non deve essere un’eresia.