Seregno, Giacinto Mariani di nuovo all’attacco sull’inchiesta del 2017

La contestazione riguarda la mancata pubblicazione del decreto di archiviazione, dopo gli accertamenti su possibili infiltrazioni mafiose nella macchina comunale
Giacinto Mariani, primo a destra, a Seregno domenica scorsa, in occasione della visita del presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana

«La mia candidatura è figlia anche di una volontà di riscatto dell’immagine della città, dopo tutto il fango che le è stato gettato addosso all’indomani della bufera giudiziaria dell’autunno del 2017. Ecco, credo che il dovere di un sindaco sia anche quello di tutelare il buon nome della sua comunità, cosa che il primo cittadino uscente Alberto Rossi non ha fatto. Una volta eletto, sarebbe stato suo dovere ricercare l’esito delle indagini della commissione d’inchiesta sulla presenza di infiltrazioni mafiose nella macchina comunale. Invece, ha preferito far finta di niente, come per l’avviso di garanzia che ha ricevuto per la vicenda di Aeb». A pochi giorni dalle elezioni amministrative in programma domenica 14 e lunedì 15 maggio, Giacinto Mariani, candidato sindaco del centrodestra a Seregno, rimette a rumore il mondo politico locale, tornando sulla vicenda giudiziaria di cui, suo malgrado, è stato tra i protagonisti e dalla quale è uscito assolto, dopo un lustro di lontananza forzata dalla politica.

Inchiesta: la denuncia risalente all’ottobre del 2019

«Nell’ottobre del 2019 -continua Mariani-, ho presentato una querela nei confronti del dirigente o del responsabile del ministero degli Interni dell’epoca, chiedendo che la magistratura accerti gli eventuali reati del caso. Dopo la conclusione delle indagini della commissione che era stata inviata, che ha archiviato la procedura senza ravvisare infiltrazioni mafiose il 10 maggio 2018, il decreto di archiviazione avrebbe dovuto essere pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale entro cinque giorni, quindi entro il 15 maggio. Al contrario, non è stato fatto: anzi, il decreto stesso è rimasto nascosto fino al luglio del 2018, prima di essere pubblicato sul sito del ministero degli Interni».

Inchiesta: dito puntato contro il Partito democratico

Il dente avvelenato di Mariani ha una matrice politica ben chiara: «A pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca. Non sfugge a nessuno come il ministro degli Interni in carica all’epoca, Marco Minniti, fosse del Partito democratico, come la composizione della commissione sia stata decisa dal ministero e come il candidato che ha vinto le elezioni amministrative nel 2018, dopo la caduta della giunta di centrodestra per l’inchiesta, fosse del Partito democratico. Su questo va fatta chiarezza».