Il business come strumento per la creazione di valore sociale. A questo puntano le società benefit, a perseguire, insieme al lucro, anche obiettivi che comportino un beneficio comune, mettendolo nel loro statuto, definendolo come oggetto sociale. E sono sempre di più le aziende che scelgono questa forma giuridica codificata da una legge del 2016 che pone l’Italia, prima a introdurla, all’avanguardia in Europa. Sono ancora poche (1400 in Italia, 1344 al 30 settembre 2021 secondo Assobenefit) in Brianza una decina, ma in crescita.
Di loro si è occupato PwC, il network che offre consulenze alle aziende con sede anche a Monza in via Solferino, che ha fatto un’analisi del nuovo paradigma imprenditoriale di cui sono portatrici, dialogando con sei imprenditori. Tra questi Alessi, Ferrarelle, ma anche Ics Maugeri, operatore della sanità, attivo con una sede a Lissone. «Le aziende di questo tipo stanno crescendo molto rapidamente -dice Gaia Giussani, director Esg di PwC- Vogliono coniugare la produzione del profitto economico con la creazione di un valore sociale e ambientale, affiancando ai tradizionali obiettivi di business di medio e lungo periodo la generazione di valore condiviso con altri stakeholder».
All’origine della scelta c’è una visione di fondo dell’impresa che implica un’evoluzione del suo ruolo sociale, che ne migliora la reputazione di fronte a un mercato che, soprattutto dalla pandemia in poi, sta diventando sempre più esigente su temi come la sostenibilità. Diventare società benefit comporta degli obblighi e un impegno che coinvolge tutta la struttura aziendale. Occorre definire quale beneficio comune viene perseguito (nel caso di Ics Maugeri, ad esempio, la cura dei pazienti, la ricerca scientifica, il progresso della cultura e delle prassi professionali), ma anche definire un responsabile di questo processo e stilare una relazione d’impatto, essere trasparente verso l’esterno rispetto ai risultati ottenuti. Se l’obiettivo non viene raggiunto o non vengono messe in atto le condizioni necessarie per conseguirlo si rischia una sanzione dall’Autorità garante della concorrenza del mercato. «L’azienda -osserva Gaia Giussani- sviluppa questo percorso per generare valore al di là del profitto, deve individuare piani dettagliati per raggiungere i suoi obiettivi e può subire sanzioni se non c’è coerenza tra quanto dichiarato e praticato, la si considererebbe una concorrenza sleale». Quella delle società benefit, quindi, non può essere un’operazione di facciata. La coerenza delle pratiche testerà la capacità delle imprese di realizzare concretamente il beneficio comune, facendolo diventare parte integrante delle strategie aziendali.