Lavoro, contratti a tempo indeterminato? Tre anni e più della metà degli assunti è a casa

Contratti a tempo indeterminato di nome, ma precari di fatto. Non finiscono mai di stupire gli ossimori del mercato del lavoro in Italia, ed ecco allora che si può scoprire come il contratto a tempo indeterminato non sia sempre sinonimo di stabilità a lungo termine.
Brianza, lavoro in un’azienda meccanica
Brianza, lavoro in un’azienda meccanica

Contratti a tempo indeterminato di nome, ma precari di fatto. Non finiscono mai di stupire gli ossimori del mercato del lavoro in Italia, ed ecco allora che si può scoprire come il contratto a tempo indeterminato non sia sempre sinonimo di stabilità a lungo termine. È il risultato di una analisi di Cisl Monza Brianza Lecco che, lavorando sui dati di Arifl – l’Agenzia regionale del lavoro – ha notato come in Lombardia, Monza e Brianza compresa, su 445.295 contratti di questo genere stipulati nel 2012, ben il 58,7% (261.358) risulta chiuso già a marzo 2015. Conseguenze della crisi economica? No, se si considera che il 49% di queste cessazioni sono dovute a dimissioni volontarie, che il 22% sono quelle di natura conflittuale, mentre solo nel 17% dei casi la causa è una crisi aziendale.

Scendendo nel dettaglio è possibile osservare come, nel periodo successivo alla stipula del contratto nel 2012, il 6,8% è stato chiuso in un arco di tempo che va da un giorno a un mese; il 18,4% da un mese a sei mesi; il 12,1% da sei mesi a un anno, il 13,9% da un anno a due anni e soltanto il 7,5% è stato chiuso dopo più di due anni. Risultato? Il totale dei contratti a tempo indeterminato ancora aperti, rispetto ai 445.295 stipulati nel 2012, è del 41,3%. Tutto ciò significa che, almeno in Lombardia, esiste già una mobilità anche per i rapporti di lavoro ritenuti stabili.

In ogni caso il numero di assunzioni a tempo indeterminato appare in netto aumento: nel primo semestre del 2015 nella Provincia di Monza e della Brianza ne sono state effettuate 12.733, contro le 9.757 nello stesso periodo del 2014.

Nella maggior parte dei casi si tratta di assunzioni con “contratti a tutele crescenti”, quelli previsti dal Jobs Act, senza cioè l’applicazione del reintegro (previsto dall’articolo 18) in caso di licenziamento. Ragionando in termini assoluti, quindi, significa che i contratti a tempo indeterminato sono aumentati di 2.976 unità, pari ad un +30,50%. Le cause? Certamente si tratta del frutto degli sgravi contributivi per le imprese previste nella legge di stabilità, mentre al contrario non sembrano esserci dati “qualitativi” dai quali ricavare chi siano questi nuovi assunti, che età abbiano, se siano prevalentemente uomini o donne. Oppure da cui capire con certezza se queste assunzioni rappresentano occupazione aggiuntiva o, come al sindacato appare più probabile, se si tratti di stabilizzazioni di rapporti di lavoro precari già in essere.

Ma visto che gli sgravi possono durare fino a tre anni, in molti si chiedono cosa succederà a questi lavoratori alla fine del triennio.