Seregno indaga sulla criminalità organizzata: storia di Pino Pensabene, il banchiere della ’ndrangheta

Serata di approfondimento in videoconferenza a Seregno dove si è ricostruita la storia dell’ascesa di Pino Pensabene, il banchiere della ’ndrangheta in Brianza.
La serata in videoconferenza
La serata in videoconferenza

In vista della giornata in memoria delle vittime innocenti della mafia, in programma domenica 21 marzo, la biblioteca Pozzoli di Seregno ha promosso giovedì 18 marzo, nell’ambito della rassegna “Pagine//Parole. Incontri, visioni, narrazioni”, la presentazione online del volume “Statale 106. Viaggio sulle strade segrete della ’ndrangheta”. Alla serata, cui hanno partecipato anche l’assessore alla Cultura Federica Perelli, il presidente della commissione consiliare legalità Davide Ripamonti ed il direttore Enrico Porro, sono intervenuti l’autore Antonio Talia, giornalista, e Silvana Carcano, consulente della commissione parlamentare antimafia.

L’approfondimento ha posto sotto la luce dei riflettori Pino Pensabene, molto conosciuto in Brianza, dove è stato accreditato del ruolo di banchiere della ’ndrangheta, per l’attività di usura che svolgeva a Seveso, in un locale privo di finestre e definito un tugurio dagli inquirenti. «Qualche anno fa – ha spiegato Talia, rispondendo alle domande di Carcano -, ero a Milano quando ci furono gli arresti nell’ambito dell’inchiesta Tibet, che interessò anche la ’ndrina che aveva una delle sue basi a Seregno, e poi partii per Hong Kong, dove avrei dovuto documentare le rivolte in corso. E lì arrivarono le indagini che riguardavano Pensabene, perché Hong Kong era il paradiso fiscale scelto per il riciclaggio del denaro».

Seregno indaga sulla criminalità organizzata: storia di Pino Pensabene, il banchiere della ’ndrangheta
La serata in videoconferenza


Il flashback è quindi proseguito, con la ricostruzione del personaggio, che può essere letta anche nel libro: «Pensabene è il prodotto di varie fasi della storia della ’ndrangheta. Si è formato tra il 1985 ed il 1991, nel corso della seconda guerra di ’ndrangheta, scatenata da un boss cui era molto vicino suo padre. Terminata questa faida infinita, con settecento morti, lo abbiamo ritrovato in Brianza, a gestire i capitali in arrivo dal sud, derivanti da usura, spaccio di cocaina ed altro. Qui intercettò l’imprenditoria brianzola, che fu vittima e complice nel lasciarsi coinvolgere, essendosi fatta trovare impreparata dalla crisi finanziaria del 2008. A differenza di Diego Novella, che prima di lui era una sorta di capo a livello locale, non ebbe mai mire scissionistiche, che Novella pagò anche con la vita».

Talia ha inoltre spezzato una lancia in favore del sistema giudiziario italiano, affermando che «Pensabene e chi faceva affari con lui oggi sono in galera: le azioni di contrasto hanno funzionato, anche se dal punto finanziario c’è ancora molto da fare. Ma dovremmo smettere di esaltare queste figure come eroi malvagi e mettere tutti in guardia dalla loro pericolosità».