Processo d’appello per Mattia Del Zotto, il 29enne di Nova Milanese reo confesso di tre omicidi (le vittime sono la zia e i nonni paterni), e di cinque altri tentati omicidi, per aver avvelenato i parenti mescolando il solfato di tallio con l’acqua minerale. L’udienza davanti ai giudici milanesi è fissata per mercoledì 18 settembre. La vicenda processuale ruota attorno al quesito relativo alla capacità di intendere dell’imputato. Lo psichiatra Giovanni De Girolamo, in qualità di consulente tecnico d’ufficio nominato dal tribunale di Monza nel processo di primo grado, ha concluso con una diagnosi netta: vizio totale di mente per «disturbo delirante». Conclusione che è valsa al giovane l’assoluzione dall’accusa di omicidio premeditato, ma anche, a causa della sua «pericolosità sociale», il ricovero in una struttura sanitaria psichiatrica come misura di sicurezza per i prossimi dieci anni, fino a una nuova valutazione della sua salute mentale.
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Esito contestato dalla procura brianzola, che ha presentato ricorso in appello, e per la quale Mattia è un lucido assassino da punire con l’ergastolo. I periti nominati dagli inquirenti avevano definito il disoccupato di Nova come una persona incapace al momento dell’ideazione del suo folle piano (attuato lo scorso autunno in preda ad una deriva mistico-religiosa), ma «perfettamente lucido» al momento della sua esecuzione (a partire dal reperimento del veleno tramite ripetuto scambio di mail con una ditta veneta).
Davanti allo specialista super partes, scelto dal tribunale di piazza Garibaldi, l’ex magazziniere ha spiegato l’origine della sua spinta omicida: «Pensavo che Dio mi avesse assegnato l’ordine di riportare l’ordine sulla terra. Mi è capitato di sentire delle voci, mi dicevano di non guardare certe cose perché è peccato, di osservare i principi morali, di eliminare i miei familiari, che meditavano di uccidermi».