Nuovo coronavirus: «Se la seconda ondata ci sarà, non potrà avere lo stesso impatto»

Paolo Bonfanti, infettivologo della Bicocca-San Gerardo, analizza la situazione Covid. «Se ci sarà una seconda ondata non potrà avere lo stesso impatto», dice. Ma il caldo, assicura, non ferma il Coronavirus: lo dimostrano California e Sudamerica.
I test Covid alla Candy Arena per il progetto Monza Consapevole
I test Covid alla Candy Arena per il progetto Monza Consapevole Fabrizio Radaelli

Il rischio di una seconda ondata di Covid-19? «Esiste e la prova è quanto sta succedendo in Germania o in Cina. Però ora abbiamo strumenti per identificare rapidamente i nuovi focolai epidemici. La seconda ondata, se arriverà, non potrà avere lo stesso impatto della prima». Le parole sono quelle di Paolo Bonfanti, infettivologo dell’Università di Milano-Bicocca e direttore del reparto all’Asst di Monza, al San Gerardo, affidate a una intervista pubblicata a fine giugno dall’ateneo monzese.

Resta il fatto che, dice, il coronavirus non è cambiato: sta circolando ancora, identico a prima, dice. «Attualmente sui mass-media si sta facendo un po’ di confusione: nel corso dell’epidemia il virus ha subito mutazioni, per nessuna delle quali, tuttavia, è stata dimostrata l’emergenza di un ceppo meno aggressivo. Tanto è vero che il virus continua a diffondersi nel mondo, causando numerosi morti, come sta succedendo in Sudamerica. Da noi in Italia non si osservano più malati gravi perché stiamo osservando la coda della prima ondata epidemica. I casi riscontrati oggi sono spesso di persone che hanno effettuato il test sierologico: se il test risulta positivo, cioè sono stati rilevati gli anticorpi, viene di conseguenza eseguito un tampone. In molti casi, anche il tampone risulta positivo. Si tratta di persone che si sono ammalate settimane fa e che risultano ancora positive: sono appunto la coda della precedente epidemia».

I casi che si registrano giorno per giorno sono, spiega, gli ultimi della “prima ondata”. «Grazie al lockdown, il virus circola molto meno e non raggiunge quella “massa critica” di casi necessari per far emergere i casi gravi, che sono la minoranza. La maggior parte delle persone sviluppa, oggi lo sappiamo bene, una malattia asintomatica o scarsamente sintomatica: è ciò che osserviamo ora su numeri piccoli». Ma, aggiunge, non si può affidarsi al caldo per pensare che le cose vadano meglio, «come si può vedere in Sudamerica o in California non è fermato dal caldo».

Se un vantaggio c’è, sono gli strumenti diagnostici, quelli che oggi permettono di identificare i casi precocemente rispetto all’inizio del 2020. «E, rispetto a prima, alcuni studi ci hanno permesso di comprendere quali farmaci funzionano e quali no».