Monza, la pediatria monzese dopo dieci mesi d’emergenza: quattro i casi gravi, gli studi avviati

L’analisi del direttore Andrea Biondi alla clinica della Fondazione Mbbm dopo dieci mesi di emergenza coronavirus: la pediatria monzese in difesa dei bambini, quattro i casi gravi. E gli studi avviati e da avviare.
Monza Andrea Biondi - foto di repertorio
Monza Andrea Biondi – foto di repertorio Fabrizio Radaelli

Sono 44 i bambini e ragazzi da 0 a 18 anni ricoverati in Pediatria a Monza o al Centro Maria Letizia Verga da marzo a metà dicembre. Di questi 33 solo nella seconda ondata dell’emergenza coronavirus. «I pazienti pediatrici sono stati 25 – spiega Andrea Biondi, direttore della Clinica Pediatrica di Monza- 19 gli ematologici. Una minor incidenza del virus sui pazienti che già sono in cura per leucemia che si può spiegare con il fatto che questi pazienti, soprattutto nei primi mesi delle cure, vivono in isolamento, con grande precauzione».

Quattro i casi gravi che hanno richiesto invece il ricorso alla Terapia intensiva: tre adolescenti sono stati curati a Monza e uno più piccolo è stato inviato alla Cinica De Marchi. Tutti, per fortuna, ne sono usciti senza conseguenze. Il virus che risparmia i giovanissimi ha comunque stravolto la routine sia del reparto di Pediatria sia del Centro Maria Letizia Verga dove si curano le oncoematologie infantili: «In questa seconda ondata che ha colpito il nostro territorio – spiega Biondi – le misure di protezione sono state ancora più forti. All’ingresso del Centro c’è sempre un infermiere e un medico specializzando per verificare le condizioni di chi entra, mi piange il cuore ogni volta che vedo uno dei genitori dei bimbi ricoverati portare la sacca di vestiti e lasciarli sulla porta di ingresso senza poter entrare, perché purtroppo un solo genitore è ammesso in camera. Queste misure di protezione hanno permesso però di garantire sicurezza e con orgoglio possiamo dire che abbiamo proseguito le cure anche di bambini positivi al virus e abbiamo fatto più trapianti di midollo quest’anno che l’anno scorso».

L’altro motivo di orgoglio è legato alla ricerca in ambito Covid che nasce proprio nei laboratori del Centro di Ricerca Tettamanti: «Poteva sembrare fuori luogo, nel mese di marzo, mentre si smontavano i reparti – dice Biondi – e si faceva fronte alla prima ondata pandemica, ma in Unità di Crisi con il professor Bonfanti, direttore delle Malattie infettive abbiamo chiesto che fossero conservati i campioni di sangue di tutti i pazienti Covid. Campioni che avrebbero dovuto essere smaltiti, ma che invece sono andati a costituire la Biobanca nell’ambito del progetto STORM».

Il progetto di ricerca, approvato dal Comitato Etico e dallo Spallanzani, ha aperto le porte a collaborazioni prestigiose con un network europeo a guida norvegese e tedesca e con il National Institute of Allergy and Infectous diseases diretto da Anthony Fauci negli Stati Uniti. «Le nostre dottoresse Mariella D’Angiò e Laura Bettini – spiega Biondi – hanno sequenziato migliaia di genomi, studiato Dna di centinaia di provette che ancora riempiono i nostri congelatori ottenendo risultati importanti».

Gli studi pubblicati dicono ad esempio che più del 10% dei pazienti Covid che hanno avuto forme gravi avevano nel sangue anticorpi contro gli interferoni; a livello di genoma nel 3-5% dei casi è stata osservata una mutazione, quasi a dimostrare una predisposizione genetica all’infezione più acuta. Un altro studio sta per partire e questa volta riguarda uso delle cellule staminali del cordone ombelicale che paiono avere un effetto contro le infezioni polmonari.