Monza: in ricordo di Massimo Sala, il barista che faceva sentire tutti a casa

Professione barista, missione accoglienza, amicizia. Così era Massimo Sala, che si è spento a soli 54 anni: un brindisi lo ha salutato a Monza dopo i suoi funerali, come lui avrebbe voluto.
Massimo Sala
Massimo Sala Fabrizio Radaelli

Un sorriso contagioso, empatico, solare, un riferimento. Massimo Sala era questo, così come il suo bar “Le cascine” era una seconda casa per tanti, San Biagio e l’intera via Prina sentiranno la sua mancanza.

Si è spento negli ultimi giorni di giugno, a soli 54 anni, dopo una lunga malattia. La sua unicità e umanità è emersa anche la scorsa settimana, dopo il funerale (esattamente lo stesso giorno in cui si era sposato 17 anni fa) quando tutti gli amici hanno brindato in suo onore perché lui voleva così. Ha aperto nel 1993 la pasticceria in via Prina per poi, nel 2001 trasformarla in bar, con Monia, la moglie e i genitori, un’attività di famiglia che per molti è diventata un luogo famigliare. Sempre in prima linea quando c’era da organizzare un evento, dare vita al suo quartiere, negli anni è stato un riferimento per tutto il quartiere.

La passione per la cucina e la voglia di stare tra la gente è emersa sin da ragazzo, così come quella per la montagna, dopo aver studiato a Milano come cuoco ha fatto tanta gavetta sino ad aprire il suo bar. «Era uno spirito sportivo, già da ragazzo scalava la montagna ma, quella più difficile, non è riuscito a vincerla -ricorda la mamma- sebbene abbia lottato fino all’ultimo. Sempre pronto a aiutare chi aveva bisogno, amava la musica e l’arte era un perfezionista, estroso nelle sue iniziative. La sua mancanza lascia un gran vuoto ma il suo ricordo sarà sempre con noi. Un particolare ringraziamento al medico Enrico Noseda per la sua presenza umanità e professionalità, grazie agli amici Mario e Marta per la loro affettuosa vicinanza e a tutti».

La peculiarità di Massimo è sempre stata l’innata capacità di far sentire a proprio agio le persone, il primo a scaldarsi quando qualcosa non funzionava a dovere e anche il primo a spronare gli altri a sperimentare. Solo una settimana prima di morire aveva pensato il menù per la cena in bianco che era in programma nel suo locale. Per gli amici non erano “le cascine” ma era il bar di Massimo, un amico da cui andare non solo per un caffè ma per chiacchierare e, a volte, confidarsi.