Monsignor Marino Mosconi, arciprete di Monza esattamente da un anno, celebra la sua prima patronale con una domanda: «Quanto è presente la figura di san Giovanni nei monzesi?».
Lui, il Battista, dal protiro della basilica (la copia, perché la statua vera si trova nel Museo e tesoro del duomo) indica il Cristo, legame tra il Vecchio e Nuovo testamento e addita i monzesi. «In occasione della festa di san Gerardo ho visto fedeli in fila per baciare la reliquia a San Gerardino o recarsi nella chiesa di San Gerardo per pregare davanti all’urna che ne conserva il corpo. San Giovanni, che pure rappresenta l’origine della fede a Monza e ne è il patrono, non ho ancora bene capito quale ruolo abbia nella storia della città. Certamente gli è riconosciuto un nesso civico e infatti a lui sono intitolate le benemerenze che il Comune consegna ogni anno, ma per la gente credo sia meno sentito. Eppure è una figura straordinaria».
Monza, il primo anno di monsignor Mosconi in duomo: San Gerardo e San Giovanni
Le reliquie di san Giovanni saranno esposte nella cappella dedicata al suo martirio, in duomo, mentre il dente che la tradizione attribuisce al precursore di Cristo è conservato in Museo. L’ampolla contenente il sangue del Battista andò invece perduta probabilmente ai tempi dell’arciprete Rigamonti, racconta Mosconi.
La prima patronale per monsignor Mosconi è anche tempo di bilancio, a un anno dall’arrivo a Monza, dopo tre decenni passati in curia a Milano, tra studi, insegnamento e l’impegno di giudice al Tribunale ecclesiastico. «È stato un anno di esplorazione perché il duomo è una realtà anomala. La parrocchia ha una dimensione limitata, poche persone, è il gruppo storico a sorreggere l’oratorio e la parrocchia. Poi c’è la dimensione della basilica cittadina, la chiesa dove vengono da fuori per confessarsi. È una realtà complessa, differente dalle altre parrocchie. Anche il mio ruolo non è quello solo di parroco. Sono stato assegnato al duomo di Monza anche in virtù delle mie conoscenze, dei miei studi e del mio sapere, per metterli a disposizione della pastorale, per essere punto di riferimento per la vita cittadina».
Monza, il primo anno di monsignor Mosconi in duomo: la complessità del centro fatta presente anche agli amministratori
E la complessità di un centro che lentamente si sta spopolando e muore – racconta Mosconi – l’ha sperimentata proprio in occasione delle benedizioni nelle case. «Ho visto case diroccate dove abita gente poverissima accanto a dimore bellissime e lussuose. Ne ho parlato con gli amministratori della città ma non so quanto sia in loro potere intervenire per invertire questa rotta».
La nostalgia di Milano, con il suo respiro europeo e cosmopolita, è rimasta nell’arciprete, che però ha fin da subito amato il centro storico e soprattutto il duomo, «una chiesa di spessore, del tutto simile a una chiesa cattedrale per storia e cultura. Peccato però che nonostante questo Monza fatichi a brillare come dovrebbe. La basilica stessa potrebbe essere un richiamo al mistero di Dio. Dobbiamo impedire che diventi solamente un museo. È fondamentale che la comunità parrocchiale del duomo sappia rigenerarsi anche in una dimensione più ridotta. I numeri dei fedeli, soprattutto dei ragazzi, saranno sempre più esigui e io non ho certo la soluzione per questo se non continuare a parlare del Vangelo, incentrando il nostro operato sul Signore, capace di fare la differenza in un mondo che cambia. Impedire questo cambiamento è impossibile, ma viverlo nel modo migliore è il nostro compito».
Monza, il primo anno di monsignor Mosconi in duomo: i monzesi
Un’ultima parola la dedica ai monzesi, «disponibili e generosi, che hanno voglia di mettersi in gioco. Mi avevano detto che li avrei trovati chiusi, ma vengo da Milano e lì tutti sono un po’ chiusi, che non credo sia necessariamente un difetto, ma il giusto diritto di difendere la propria privacy, senza per forza dover condividere tutto».