Monza: “Dove sono finiti gli aiuti per chi ha accolto i rifugiati ucraini?”

Una prof di Monza da tre mesi ospita una famiglia (e non intende tornare indietro), ma chiede alle istituzioni: il supporto, dov'è?
Monza arrivo profughi Ucraina hub San Carlo
Monza arrivo profughi Ucraina hub San Carlo

Da oltre tre mesi una docente al Mosè Bianchi di Monza, ospita nella sua casa una famiglia di profughi ucraini originari di Odessa: Marina con le sue due figlie di 14 anni e la più piccola, arrivata in Italia quando non aveva nemmeno un anno.

In tutto questo tempo è stata tanta la generosità e solidarietà dimostrata a amici, vicini di casa e colleghi di lavoro. Non altrettanto efficiente è stata invece l’amministrazione dell’emergenza. Lungaggini burocratiche e soprattutto la mancanza di un aiuto (economico) hanno impedito a Marina e alle sue figlie di ritagliarsi quel po’ di indipendenza non solo concreta ma soprattutto psicologica per poter pensare davvero di ricostruirsi una vita decorosa in Italia, in attesa di tornare il prima possibile in Ucraina. «In questi mesi Marina e le sue figlie sono diventate parte integrante della nostra famiglia e, ci tengo a precisarlo, non abbiamo alcuna intenzione di interrompere il nostro aiuto nei loro confronti – spiega la docente -. Il problema è però evidente: le famiglie che tanto generosamente hanno deciso di aprire le porte di casa alle persone in fuga dalla guerra non sono state aiutate e sostenute dalle istituzioni. Non c’è coordinamento, si fatica a trovare risposte e sembra impossibile riuscire a pianificare una vita autonoma per queste persone, trovare per loro un lavoro, delle scuole e asili per i figli, la possibilità di una casa in affitto a prezzi accessibili».

I rifugiati ucraini, tre mesi dopo: la burocrazia, il lavoro

Tanti gli intoppi che hanno reso difficile se non impossibile la ricerca di un lavoro per Marina, rifugiata ucraina, e di un alloggio autonomo. «Le pratiche per ottenere il permesso di soggiorno temporaneo sono lunghissime. Le mie ospiti sono arrivate a marzo e forse entro luglio riusciranno a ottenere i documenti. Il problema è che il permesso di soggiorno è necessario per poter aprire un conto corrente che a sua volta è necessario per poter accreditare lo stipendio».

La professoressa è infatti riuscita a trovare un lavoro a Marina tramite una ditta di catering che è riuscita a concederle anche turni elastici per poter incastrare i suoi impegni di mamma. Poi c’è il capitolo contributi. «Da quando sono arrivate non hanno mai ricevuto alcun aiuto economico». Stesso discorso per l’alloggio. «So che sono stati messi a disposizione degli appartamenti per i profughi, ma anche per questo la procedura è lenta e complicata».

Marina ora può lavorare perché ad occuparsi della più piccola c’è la sorella maggiore, ma quando a settembre ricomincerà la scuola si dovrà pensare a un’altra soluzione. «Le graduatorie ai nidi comunali sono chiuse, mi hanno consigliato l’iscrizione a un nido privato ma la retta è inaccessibile per una famiglia di profughi- prosegue – e se non riuscirà a iscrivere la piccola al nido Marina non potrà continuare a lavorare».

L’Ucraina, i rifugiati, la vita autonoma

Di contro tanti sono stati anche gli aspetti positivi di questa esperienza: dal rapido inserimento degli alunni ucraini nelle scuole (compreso al Mosè Bianchi dove insegna la docente) all’aiuto assicurato alla famiglia della prof da amici e vicini di casa fino alla pediatra che con tempestività ha inserito la piccola Anastasia nell’elenco dei pazienti. Nota positiva anche l’assistenza psicologica riservata ai profughi, soprattutto i più giovani, dal servizio minori del Comune. «Ora però serve di più per consentire a queste persone di costruirsi una vita autonoma. E dalle istituzioni dopo tre mesi aspettiamo risposte certe».