Niente arresti domiciliari per Kyra Kole, la 34enne ungherese in carcere a San Vittore con l’accusa di sfruttamento della prostituzione in un centro massaggi di via Amedeo Colombo. Il tribunale del Riesame, al quale si era rivolta la cittadina ungherese Edyna Greta Gyorgy (il vero nome della donna) ha respinto l’istanza presentata dal suo legale, l’avvocato Maurizio Vinciguerra, di revoca della custodia in carcere e di alleggerimento della misura a favore degli arresti domiciliari.
La donna è incensurata, ed era stata raggiunta da decreto di fermo, sul presupposto del pericolo di fuga, visto i suoi frequenti viaggi nel suo paese. Ora alla donna resta la possibilità di fare ricorso in Cassazione. Kyra Kole, si presenta come “attrice, showgirl, dj di musica dance”, con qualche partecipazione all’attivo in tv (nel programma Ciao Darwin di Paolo Bonolis, per esempio) o in un film italiano del 2012 (Benur Un gladiatore inaffitto) nel ruolo di “Poppea”. Quello che non emergeva, nei profili della donna, era invece l’attività di conduzione di un centro massaggi a Carate Brianza, dove, secondo i carabinieri e la procura brianzola, sfruttava la prostituzione di alcune donne italiane, marocchine, romene e polacche. Accusa che l’ha condotta in carcere nei giorni scorsi, in virtù di un’ordinanza di custodia cautelare per sfruttamento della prostituzione emessa dal gip Cristina Di Censo, su richiesta del pm Carlo Cinque (che ha ottenuto il sequestro di 70mila euro in contanti).
Attività alla quale la donna che di recente ha posato anche per l’edizione spagnola di Playboy, aveva cercato di dare una parvenza di legalità, visto che faceva lavorare le donne solo dopo averla fatto aprire la partita iva, e facendole pagare un canone d’affitto per le stanze in cui esercitare. Di fatto, però, come accertato dalle telecamere installate dai carabinieri di Seregno, comandati dal maggiore Emanuele Amorosi, Edyna Gyorgy, tratteneva per sé la metà degli incassi delle ragazze, passando ogni giorno a ritirare il denaro, e gestendo l’attività in molto rigoroso e con “accortezza imprenditoriale”, come hanno riferito gli inquirenti. L’indagine nasce da un litigio molto acceso scoppiato tra due “massaggiatrici”, che ha richiesto l’intervento dei carabinieri. Da quell’episodio, i militari hanno ricostruito l’attività continua del centro, aperto in una palazzina a pochi metri dall’Istituto parrocchiale intitolato ai vescovi Valtorta e Colombo, nonché il relativo viavai continuo di uomini che pagavano da un minimo di 75 euro, a un massimo di 150 per massagggi in cui si poteva “interagire con la ragazza” e “farsi la doccia”.