“Le cose che amiamo di Ale”, il film dedicato alla vita del monzese Alessandro Cevenini ha vinto l’ottava edizione dell’European cinematography awards nella categoria Best Europe film e Best cinematography.
Un altro successo per l’associazione Beat leukemia, fondata dallo stesso Cevenini durante i mesi della malattia, e che oggi è guidata dal fratello Michele.
“Beat Leukemia”, il film sulla vita di Ale Cevenini premiato agli European Awards: omaggio incentrato sugli ultimi due anni
Un medio metraggio che è un omaggio al coraggio e alla determinazione di Alessandro, incentrato sugli ultimi due anni di vita di Cevenini: dalla diagnosi di leucemia mieloide acuta nel 2007 alla morte nel 2009, quando aveva 26 anni. Un premio che è l’ennesima conferma di un progetto nato per raccontare e ricordare Ale Cevenini, ma anche per diffondere la rete dell’associazione, il supporto ai malati e alle loro famiglie, condividendo informazioni spesso determinanti: «Non ci fermiamo mai – hanno scritto gli amici della onlus – let’s beat leukemia!».
“Beat Leukemia”, il film sulla vita di Ale Cevenini premiato agli European Awards: girato tra Monza e Milano
La pellicola è stata girata tra Monza e Milano, tra il quartiere Cazzaniga dove Alessandro abitava con la famiglia, e il Policlinico, dove è stato curato fino all’ultimo. Un film che è nato dalle pagine scritte dallo stesso Alessandro nei due anni di malattia e che sono diventate il libro “Il segreto è la vita”, pubblicato dalla famiglia dopo la morte del giovane.
Fin da subito, una volta superati i primissimi giorni della diagnosi, lo scopo di Alessandro è stato quello di mettere a frutto la sua terribile esperienza di paziente oncologico e mettersi in contatto con altri malati che come lui stavano affrontando le medesime angosce, per mettere in comune informazioni, studi, pubblicazioni, novità in campo scientifico, nuove ricerche.
All’inizio è stato solo un gruppo Facebook che in pochi mesi ha superato i 7.000 membri, poi il sito che è il suo grido di battaglia: beat leukemia, la stessa frase che campeggia sulla tomba, all’ingresso secondario del cimitero di Monza.