C’è chi li conosce, chi ha passato qualche pomeriggio insieme, chi li ricorda nei corridoi della scuola. C’è chi non li ha mai visti eppure ne condivide l’età, i gusti musicali, le mode e gli atteggiamenti. A pochi giorni dalla cronaca dell’aggressione di un mese fa in corso Como a Milano del giovane universitario accoltellato per 50 euro, e per la quale sono accusati di tentato omicidio cinque ragazzi monzesi (due maggiorenni e tre minorenni), anche i loro coetanei si interrogano e si chiedono cosa sia successo. Cosa sia capitato non tanto quella in quella notte di sballo milanese, ma cosa e quando si sia imboccata quella strada. Cosa si sia rotto nella vita di quei cinque adolescenti che in pochi minuti hanno rovinato la vita della loro vittima e distrutto la propria.
Monza, arrestati per tentato omicidio: «Ne abbiamo parlato in classe»
«Quelli che incontro in classe sono ragazzi rassegnati a queste scene di violenza – racconta un insegnante dell’istituto Mosè Bianchi, la scuola frequentata da due dei giovanissimi aggressori -. Ne abbiamo parlato in classe e la cosa che mi ha stupito è il fatto che i ragazzi non siano stupiti né sconvolti da quanto è successo. Mi dicono che quando escono il sabato sera le scene di pestaggio sono una consuetudine. Sono consapevoli della violenza che li circonda, ne sono come assuefatti, l’importante è non trovarsi in mezzo alla rissa».
E allora diventa quasi la norma girare con il coltello in tasca. E lo sanno anche gli agenti della polizia locale che si sono dotati di metal detector per i controlli, proprio per scovare le armi da taglio oggi sempre più diffuse tra i giovanissimi. «Lavorando ogni giorno con i miei studenti ascolto la loro musica, vedo i video che guardano loro, sento i loro discorsi. Vivono costantemente bombardati da canzoni, video e social che inneggiano alla violenza, anche solo quella mimata. Come se l’immaginazione si fosse ormai integrata con la realtà. Sono generazioni non educate ai sentimenti, rassegante ai tempi in cui vivono».
Uno dei giovani coinvolti nell’aggressione abita nel quartiere Triante. Qui qualche tempo fa si erano verificati piccoli episodi di vandalismo davanti alla scuola don Milani. Tanto che il coordinatore della consulta, Pantaleo Troja, aveva lanciato un appello proprio a loro, ai giovani annoiati del quartiere, per incontrarli e sentire da loro il motivo di tanta vuota stupidità. «Alla fine ci eravamo incontrati – ricorda Troja – ed era subito emerso il loro bisogno di luoghi e spazi di incontro. Fino alla prima media per molti c’è l’oratorio, come è stato anche per i ragazzi accusati di tentato omicidio nei confronti del ventiduenne universitario, poi non li vedi più. Iniziano a lasciare il quartiere ad andare in centro a Monza e poi a Milano, e molti si perdono. Vivono ore di vuoto senza senso, annoiati e disposti a fare anche stupidaggini pur di riempire le giornate».
Lo scorso anno proprio il coordinatore della consulta apriva il centro civico per accogliere i ragazzi proponendo sfide di giochi da tavolo. «Per un po’ ha funzionato, c’erano una ventina di ragazzi delle scuole superiori, ma non basta. Occorre ripensare a proposte e momento di aggregazione che attirino i ragazzi che hanno un disperato bisogno di essere guidati, perché l’anello debole siamo noi adulti». Il prossimo 2 dicembre la consulta di Triante si ritroverà proprio per parlare della situazione degli adolescenti del quartiere.
Giovedì 20 novembre il gruppo giovani del decanato (formato dagli oratori di Monza, Brugherio e Villasanta) si è trovato per il consueto incontro. Inevitabile, anche qui, non parlare dei fatti di corso Como. «Abbiamo mostrato il video dell’aggressione, quello che circola sui media. Lo abbiamo visto in silenzio, al termine della preghiera, perché davanti a un fatto del genere, a una violenza tanto feroce non siamo in grado di dare alcuna spiegazione», dicono i sacerdoti.
«C’è una necessità di cura da parte nostra, da parte del mondo adulto, dobbiamo farci carico di queste situazioni. Vediamo tanti genitori disarmati e impotenti davanti ai loro figli con cui non riescono più a dialogare. Noi spesso proponiamo momenti di incontro e confronto per cercare di dare qualche strumento in più, ma le famiglie non vengono, i ragazzi non vengono. E allora diventa davvero difficile riuscire a intervenire quando il rapporto tra adulti e ragazzi si spezza».