A volte anche i miracoli si nascondono nelle pieghe di un regolamento parlamentare. E così, in punta di piedi, con l’aria di chi spera di non essere notato, una parte del centrodestra ha votato a favore dell’immunità parlamentare per Ilaria Salis. Proprio lei, l’attivista che veniva descritta dalla destra italiana come una pericolosa estremista, una “finta martire” buona solo per infiammare le trincee ideologiche della sinistra. E invece arriva il voto favorevole alla richiesta di protezione parlamentare. Sorpresa delle sorprese. A salvare Ilaria Salis da una giustizia ungherese sempre più inquietante, non è stata solo la sinistra europea, ma i voti di quella destra che, in patria, aveva usato la sua storia come carne da propaganda. Del resto, è lo sport nazionale: attaccare “l’Europa che ci impone le regole” e poi accodarsi quando servono i voti. Il tutto con quella disinvoltura che solo chi ha dimenticato il significato di “responsabilità politica” riesce a mantenere.
Nel caso Salis, il cortocircuito è stato particolarmente imbarazzante. Giorgia Meloni e i suoi alleati, che nei talk show parlano di legalità e “giustizia dei Paesi sovrani”, si ritrovano a fare i conti con un alleato come Viktor Orbán, che ha trasformato il sistema giudiziario ungherese in un accessorio del potere esecutivo. Ma guai a dirlo troppo forte. È meglio fingere che il problema non esista, salvo poi votare in silenzio per evitare il peggio. Il paradosso è che Ilaria Salis è stata salvata nonostante la destra italiana, non grazie ad essa.
Per mesi si è fatto di tutto per minimizzare la brutalità della detenzione, per evitare lo scontro con l’Ungheria, per non “urtare” Orbán. Ora, all’improvviso, un cambio di rotta. Non per convinzione, ma per opportunismo. Ecco allora che l’immunità parlamentare diventa un salvagente comodo. Dà l’impressione di aver fatto la cosa giusta, senza dover mai ammettere di aver sbagliato prima. Senza scuse. Senza autocritica. Senza un solo cenno al disastro diplomatico costruito giorno dopo giorno, a colpi di silenzi, ambiguità e slogan da campagna elettorale permanente.
La verità è che questa destra non crede nell’Europa, né nella tutela dei diritti, ma solo nella propria sopravvivenza politica. E quando la realtà bussa alla porta, sceglie di fare marcia indietro con l’eleganza di un elefante in una cristalleria. Vota sì, ma con lo sguardo basso. Prova a salvare la faccia, dopo aver quasi perso tutto. Ilaria Salis, oggi, è più vicina alla libertà. Ma non grazie alla coerenza del centrodestra. Semmai, nonostante la sua ipocrisia.