Monza – Volti scolpiti, sguardi spalancati sull’infinito della storia, lineamenti passati che riportano i tratti dei secoli trascorsi. È un omaggio appassionato quello che l’associazione Amici dei musei dedica all’opera fotografica di Ugo Zovetti, con la rassegna ”Homo. Riflessioni su un motivo arcano”, allestita nella saletta reale della stazione (aperta da martedì a sabato, dalle 15 alle 18, fino al 4 dicembre). Una mostra che chiude il ciclo ”Humanitas” organizzato dall’associazione e curato da Alberto Crespi. Incorniciate dalla leggerezza degli affreschi della saletta reale (che chiuderà i battenti il prossimo mese per un restyling che durerà fino a febbraio), le maschere crude e terribili di Zovetti colpiscono l’osservatore con i loro sguardi enigmatici e arcani, i lineamenti duri e violenti. Sono fotografie che lo stesso autore, scomparso lo scorso gennaio, ha personalmente scelto per questa mostra. Una selezione lungo due decenni di lavoro del fotografo dedicati allo studio del volto umano.
«L’uomo è il volto – scrive Zovetti -. Inserito nello spazio e ne tempo il volto si libera dal quotidiano e dall’attualità. Il passato dà il senso al presente: lo spazio li unisce». Una mostra che racchiude le espressioni artistiche dell’intera famiglia Zovetti. Gli sfondi pittorici delle foto sono stati realizzati da Ugo Zovetti figlio negli anni Settanta, riprendendo le opere del padre Ugo Zovetti, mentre il titolo della mostra, ”Riflessioni su un motivo arcano”, è tratto dagli scritti del pittore Giuliano Zovetti, fratello minore del fotografo, scomparso giovanissimo.
«Queste immagini sono sopravvissute alla loro epoca, proiettandosi così nel futuro ed elevando i volti a vere divinità immortali», spiega Crespi. Ed è la ricerca dell’assoluto slegata dal tempo e dallo spazio che emerge dai visi di Zovetti, «un tendere verso, un’ammissione di incompletezza che si traduce in una ricerca assetata di assoluto», come precisa l’antropologa culturale Sabrina Tonutti, che ha collaborato alla realizzazione della mostra. Negli scatti dell’autore trovano spazio i lineamenti delle statue africane e assire, delle sculture mesoamericane e asiatiche, tutte inserite in un fondale altro, che ne dilata l’espressione. «Lo spazio è solo apparentemente casuale – scrive ancora l’autore nei suoi appunti a margine del volume ”I sumeri” di Andrè Parrot -. La casualità è il modo di essere della necessità, è ricerca della verità».
Sarah Valtolina