Coronavirus: tre strutture a Monza e Brianza per i dimessi che non possono tornare a casa

Dimessi dall’ospedale, ma senza un posto sicuro a casa per non infettare altri in attesa che il tampone sia negativo: la Provincia di Monza ha trovato tre strutture per accoglierli. Parla il presidente Santambrogio.
Monza Luca Santambrogio
Monza Luca Santambrogio Fabrizio Radaelli

Manca solo la delibera del Pirellone poi in Brianza apriranno alcune strutture riservate ai pazienti guariti da coronavirus che dopo la dimissione dall’ospedale non possono rientrare nelle loro abitazioni. «Il territorio – spiega il presidente della Provincia Luca Santambrogio – non si farà cogliere impreparato: con i responsabili dell’Ats abbiamo giocato d’anticipo rispetto alla Regione e abbiamo individuato i luoghi per le cosiddette degenze di sorveglianza. Per il loro varo dobbiamo attendere il via libero della giunta Fontana: saranno almeno tre, nelle vicinanze di Monza, nel vimercatese e nella Brianza ovest e dovrebbero soddisfare le necessità dell’intera Provincia». La prima potrebbe essere a Giussano.

«Abbiamo individuato – aggiunge il responsabile di via Grigna – perlopiù rsa vuote, pronte ma in attesa di autorizzazione. Ciascuna avrà dai 15 ai 20 letti per malati che devono completare il processo di guarigione, che hanno ancora bisogno dell’ossigeno o che non possono tornare a casa in quanto non hanno una camera e un bagno separati dal resto della famiglia» in cui rimanere isolati. Nelle strutture potranno contare sulla presenza di un assistente sanitario e sulle visite di un medico. Chi, invece, è asintomatico ma ancora positivo al covid-19 potrebbe essere ospitato in un albergo: sull’eventualità di battere questa strada si stanno confrontando la Prefettura e la Protezione civile.

«In Brianza – commenta Santambrogio – fino a una settimana fa la situazione era molto grave: ora sono moderatamente ottimista. Dobbiamo, però, evitare che il calo delle infezioni spinga la gente a uscire: abbiamo pagato per quindici giorni l’affollamento dei parchi che si è verificato l’8 marzo».

Con i suoi colleghi sindaci si confronta quotidianamente sulle misure più adeguate a contrastare la diffusione dell’epidemia: «Tutti – afferma – chiedono di aumentare il numero dei tamponi, di estenderli al personale sanitario e agli operatori delle case di riposo: sappiamo che dobbiamo scontrarci con le difficoltà obiettive dovute alla mancanza di laboratori che effettuano le analisi, ma un campionamento più ampio consentirebbe di avere dati più realistici del contagio». Sono molte, infatti, le persone in isolamento volontario o che presentano sintomi riconducibili al Covid-19 a cui non viene effettuato il tampone.

L’alto numero di malati e, purtroppo, di vittime dovrà rappresentare un monito per il futuro: «Quando tutto sarà finito – invita Santambrogio – sarà necessario ripensare la sanità pubblica in Italia. In questi giorni il nostro plauso va ai medici e agli infermieri negli ospedali e ai medici di base: molti di loro si sono ammalati perché non avevano guanti né mascherine. Se tra qualche mese dovesse ripresentarsi l’epidemia non dovremo farci trovare disattenti una seconda volta: il nostro Paese deve diventare autosufficiente nella produzione delle protezioni». Non solo: «Gli ospedali – precisa – dovranno riprendere l’attività ordinaria dei reparti ma non dovranno andare persi gli sforzi fatti per creare i posti di terapia intensiva: i letti non dovranno essere smantellati. È arrivato il momento di riflettere sui tagli alla sanità pubblica fatti all’inizio di questo decennio e di rivedere il sistema sanitario nazionale. È arrivato il momento di capire che quei letti soppressi sono necessari».

Gli amministratori locali, e non solo, dovranno affrontare anche un’altra emergenza: «Tra qualche settimana – conclude il presidente – dovremo avviare un grande lavoro di supporto psicologico per ricostruire i rapporti all’interno delle nostre comunità».