L’Acd Cavenago 1970 contro i “genitori ultras” 

La società dilettantistica lancia un messaggio importante per favorire lo sport come crescita e non come competizione ai danni di bambini 

Quando il calcio è divertimento. L’Acd Cavenago 1970 sta facendo i conti in queste ore con un doloroso addio, quello allo storico volontario Vincenzo Freguglia, scomparso martedì. Una colonna portante dello sport sano. Quel volontario su cui si conta sempre e non delude mai. Un’immagine che rafforza quell’idea di calcio di una volta che la società ha in mente da tempo e che non riguarda solo i suoi calciatori, ma anche i suoi tifosi. Negli scorsi giorni, il club ha pubblicato sul proprio profilo social un messaggio importante destinato soprattutto a quella figura purtroppo ingombrante e diffusissima del “genitore ultrà”. Quelli che nelle partite non vedono che competizione. «Come ogni anno – questo l’esordio – dopo proclami, promesse e buoni propositi ci ritroviamo sempre qui. Al punto di partenza». L’obiettivo è educare, ma diventa complesso se la domenica a farla da padrone sono insulti, urla e dita puntate: «È piccolo, è grasso, ha paura, con lui in porta prenderemo gol. Frasi buttate come pietre. Verso bambini». A questi si aggiungono gli «allenatori e allenatrici da bordo campo, tutti convinti di saperne di più» e anche lì giù giudizi e pure insinuazioni sulle scelte operate dal mister. Spesso mamme e papà un po’ troppo convinti, persino sulle doti reali dei loro campioncini. «E intanto – scrive ancora la società – da qualche parte, c’è un bambino che sente tutto. Che abbassa la testa. Che forse non giocherà più come prima. Che tristezza. Che sconfitta per il calcio giovanile e per lo sport che ha sta diventando qualcosa di puramente commerciale». Ed ecco allora la necessità di tornare indietro, riavvolgere il nastro, tornare a quello sport «che dovrebbe insegnare rispetto, non superbia. Coraggio, non paura. Il calcio alla loro età è divertimento, crescita e insegnamento. Agli adulti: siamo capaci di sorridere dopo una sconfitta? O dopo un errore di nostro figlio? Forse dovremmo tornare a quello. A un applauso di incoraggiamento dopo un errore. A dire un “bravo” sincero, all’avversario.Da lì si riparte. Da quei piccoli gesti. Perché solo così, forse, il calcio tornerà ad essere un gioco». Amen.

L'autore

Giornalista professionista dal 4 luglio 2008, mi sono occupata per lo più di cronaca. Politica, nera e giudiziaria per quotidiani nazionali e settimanali locali. Dallo scorso settembre sono tornata a ilCittadino. Amo la fotografia e i cani perché non usano parole. Che sono preziose. Sono più i dolori delle gioie, ma il giornalismo, per me, è ancora il Mestiere. Con la maiuscola.