Il GP d’Italia torna indietro di 12 anni, al 2008 quando con la Toro Rosso, ex Minardi, Sebastian Vettel vinse sotto un diluvio. Stavolta l’acqua non c’è stata, ma il diluvio si è presentato sotto forma di regolamento che ha penalizzato Hamlton, e anche Giovinazzi, entrato in pit lane chiusa: 10 secondi di penalità e corsa terminata al settimo posto. Hamilton è andato a protestare dai commissari perché all’ingresso della pit lane, secondo lui, non c’era segnale rosso. Ma la lucina c’era, piccola piccola. Ma c’era. E i dieci secondi di penalità sono rimasti. Così, dopo un arresto di gara all’uscita della Parabolica per un botto della Ferrari di Leclerc che ha invaso la pista di rottami, a vincere è stato Pierre Gasly al volante dell’Alpha Tauri, ex Toro Rosso ed ex Minardi, team di Faenza di proprietà del padrone della Red Bull. Ha battuto, in volata, Carlos Sainz futuro pilota Ferrari che ha riportato la McLaren sul podio dopo tanto tempo e tante delusioni. E sul podio è salito anche Lance Stroll, figlio di Lawrence che per far felice il figlio ha comprato la Force India ribattenzandola Racing Point dandole delle vecchie Mercedes 2019. Insomma, una sorta di rivoluzione, se vogliamo, molto bella sotto il profilo sportivo ed emotivo perché ha spezzato un monologo tecnico, che toglie molto a chi vince, e che, dal podio, ci ha fatto finalmente udire La Marsigliese e l’Inno d’Italia, inni diversi dai soliti tedesco e inglese.
La Ferrari a Monza è andata peggio di quanto si potesse immaginare. Mai in corsa se non per il tredicesimo posto, Sebastian Vettel costretto a ritirarsi per noie ai freni, Charles Leclerc contro le protezioni. Un peccato per il giovane pilota della Ferrari che, dopo la penalizzazione di Hamilton, ha commesso un errore grave senza il quale avrebbe potuto dire la sua per la vittoria finale. È una fine umiliante per una scuderia che l’anno scorso aveva dominato. Inutile, oggi, che Mattia Binotto confessi gli errori dei tecnici nella realizzazione della SF1000. Errori che non sono solo nel motore ma nella macchina nel suo insieme. Perché basta fare una semplice osservazione: guardiamo dov’era la McLaren l’anno scorso e guardiamo i progressi fatti quest’anno pur con un motore, il Renault, che non è certo il non plus ultra. E allora vuol dire che il team di Binotto ha sbagliato proprio la macchina, come lo stesso team principal recentemente ha ammesso.
A questo punto, allora, sarà inutile la ricerca dei colpevoli, sport da qualche anno in auge a Maranello, piuttosto che cercare di recuperare almeno qualcosa in questa stagione che definire disgraziata è addirittura una generosità. Qui c’è da rifondare tutto, riprendere il discorso per il 2022 ma non con i responsabili di questa debacle, che il presidente John Elkann ha definito coesi come non mai e che io definisco sì coesi ma nell’insipienza e nella scarsa esperienza. La Ferrari deve investire, in uomini e in materiali. Altro modo per risalire non c’è ed Elkann deve farsene ragione. Oppure, lo dico con la morte nel cuore, chiudere bottega con la formula 1 e dirigersi verso la formula Indy, con regole tecniche meno sofisticate.