Che sia mancata la ciliegina sulla torta è innegabile, ma è altrettanto innegabile che i sogni di gloria della squadra di cui era capitano si siano infranti al cospetto di un avversario che, strada facendo, si è confermato il concorrente più forte del lotto. È Luca Caldirola, seregnese, 22 anni festeggiati l’1 febbraio, punto di forza della nazionale italiana Under 21, che si è piegata nella finale del campionato europeo di categoria alla Spagna, capace di reiterare con il rotondo 4-2 maturato nei 90’ di gioco (tripletta del figlio d’arte ed aspirante fuoriclasse Thiago Alcantara ed acuto della stellina Francisco Isco per gli iberici, reti di Ciro Immobile e Fabio Borini per gli azzurrini) la sua supremazia in campo continentale.
Di rientro da Israele, sede della final eight, il difensore brianzolo – nato e cresciuto nella cantera dell’Inter – ha tracciato un bilancio della kermesse che l’ha visto protagonista.
In barba all’amarezza conclusiva, possiamo comunque definire positiva questa avventura, sia a livello personale che collettivo?
«Certamente sì. Abbiamo disputato un torneo al di sopra delle più rosee aspettative della vigilia. Rimane il rammarico per la finale persa, questo è vero, ma abbiamo la consapevolezza di esserci arresi soltanto all’avversario più competitivo».
Nelle prime quattro partite, la fase difensiva è stata pressoché perfetta. Contro gli spagnoli, invece, si sono palesati alcuni scricchiolii: quanto è pesata la stanchezza?
«La stanchezza che abbiamo accusato nella finale è purtroppo un dato di fatto, anche se non voglio che questo appaia come un alibi, soprattutto considerando il valore dei nostri rivali. Mi piace tuttavia rimarcare il rendimento egregio nelle quattro uscite iniziali, nelle quali mi sembra che complessivamente tutti ci siamo espressi su standard elevati».
La vostra forza è stata il gruppo, come la semifinale contro l’Olanda sembra aver dimostrato? Quanto merito del commissario tecnico Devis Mangia c’è nell’aver plasmato il collettivo?
«Che lo spogliatoio sia stato fondamentale è evidente: il nostro è stato un gruppo composto da amici, prima ancora che da compagni di squadra. Al mister va riconosciuto il merito di essersi saputo integrare alla grande con noi, quando è subentrato a Ciro Ferrara, e di aver instaurato un rapporto bellissimo con ciascun giocatore».
Proprio il commissario tecnico ha indicato nella differenza di esperienza tra voi e la Spagna la causa principale della vostra battuta d’arresto e probabilmente ha ragione, analizzando i percorsi di alcuni elementi come Thiago Alcantara e Francisco Isco. È giusto affermare che il gap è anche culturale, poiché gli spagnoli riescono a valorizzare meglio il loro vivaio?
«Credo che la constatazione sia corretta. In Italia, diversamente da quanto si verifica altrove, si è poco propensi a concedere fiducia ai giovani. Questo accade nonostante il torneo abbia confermato che i componenti del nostro organico siano in grado di ben figurare ad alti livelli. Sono convinto che tutti i miei compagni meritino di competere sui migliori palcoscenici: mi riferisco soprattutto ai tanti che, nella stagione recentemente terminata, hanno militato come me in compagini della serie B».
Adesso la priorità è il futuro. Dopo l’annata tra Cesena e Brescia, può essere finalmente la volta buona per l’approdo nella massima serie? Si parla di un interessamento della Sampdoria: cosa c’è di vero?
«Spero anch’io che sia la volta buona, ma della Sampdoria o di altre pretendenti per il momento non so niente. Del resto, sono appena tornato da Israele ed ora penso esclusivamente alle vacanze. Al rientro, vedremo il da farsi con il mio procuratore Marco De Marchi».
Il suo percorso nell’Under 21 è concluso: ritiene che possa essere solo un arrivederci all’azzurro?
«Diciamo che ci conto. Giocare in serie A mi aiuterebbe in questa ottica. Del resto, non porsi degli obiettivi equivale a non vivere la vita fino in fondo».