Riscrivere la mappa dell’universoI quasar impossibili di Fumagalli

Michele Fumagalli, 28enne lesmese ma americano d'adozione, rappresenta il classico caso della fuga di cervelli all'estero. Che all'università di Princeton ha fatto, insieme a un gruppo di colleghi, una scoperta clamorosa: un sistema di 3 quasars che si trovano in un gruppo.
Riscrivere la mappa dell’universoI quasar impossibili di Fumagalli

Lesmo – Trovare un quasar nell’universo è raro, trovarne due vicini è difficile, trovarne tre è un’impresa praticamente impossibile. Le probabilità di trovare nello spazio tre buchi neri supermassivi (si chiamano proprio così), uno vicino all’altro, da dove poi possono nascere altrettante galassie, si aggirano a una su un miliardo. Una scoperta del genere è quindi qualcosa di sensazionale e straordinaria già di per sé. Se poi a tutto questo si aggiunge che nel gruppo degli astrofisici che hanno portato avanti lo studio c’è anche un brianzolo la situazione diventa ancora più importante.

Il figlio di Brianza in questione non è proprio una novità assoluta per le cronache addirittura mondiale. Infatti di clamorose scoperte che gli sono valse premi, riconoscimenti e articoli sulla stampa nazionale, internazionale e specialistica lui ne ha già fatta una giusto un paio d’anni fa. Michele Fumagalli, 28enne lesmese ma americano d’adozione, rappresenta il classico caso della fuga di cervelli all’estero. Infatti dopo essersi laureato in fisica prima e in astrofisica poi all’università di Milano-Bicocca ha lasciato l’Italia circa cinque anni fa per continuare i suoi studi all’università di Santa Cruz in California, dove ha concluso il dottorato di ricerca.

Nel settembre dell’anno scorso si è poi trasferito con sua moglie Silvia Colombo a Pasadena vicino a Los Angeles dove è un astrofisico all’università di Princeton. I bene informati dicono addirittura che occupi lo stesso ufficio che molti anni prima utilizzava Albert Einstein, che non è stato proprio un signor nessuno nel campo della fisica. La sua prima scoperta insieme ad altri suoi colleghi riguardava le tracce di nuvole di gas risalenti ai primi istanti di vita dell’universo dopo il Big Bang. Il gruppo di studiosi aveva utilizzato il telescopio Keck alle isole Hawaii dotato di uno specchio da 10 metri per scrutare oggetti nello spazio lontani anche 10 miliardi di anni.

Strumento quanto mai indispensabile per poter giungere alla scoperta, ritenuta dalla rivista specializzata Science tra le dieci più importanti del 2011. Due anni dopo lo stesso Fumagalli ha scoperto i tre quasar. Si tratta di una scoperta tutta italiana e fatta da under 30, a dimostrazione che di giovani bravi e capaci ce ne sono ancora nel Bel Paese. Oltre al lesmese Fumagalli, il gruppo di lavoro è stato composto da Carmen Montuori di 27 anni, Emanuele Farina di 29 e Roberto De Carli di 31, tutti e tre ricercatori in astrofisica all’università Insubria.

Per maggior chiarezza è lo stesso Fumagalli a spiegare in cosa consista la scoperta di tre quasar. «Quello cha abbiamo trovato è un sistema di 3 quasars che si trovano in un gruppo. Un quasar è un buco nero supermassivo che si trova al centro di una galassia. Il buco nero ingurgita gas e polveri della galassia che lo ospita, ed emette una fascio di radiazione ottica, ultravioletta e raggi X – spiega il giovane astrofisico -. Se le galassie che ospitano questi buchi neri sono lontane come nel nostro caso circa 10 miliardi di anni luce da noi, ne vediamo solamente il punto centrale e brillante dove si trova il buco nero. Nel nostro universo, i quasar sono poco comuni, i sistemi di 2 quasars sono rari, e quelli da 3, come il nostro, sono quasi impossibili da trovare».

Ma quello che forse più conta sono le ripercussioni di questa novità. Ad oggi se ne conoscono due in tutto l’universo. Oltre a rappresentare una rarità, sistemi come questo offrono una possibilità unica per studiare come si formano i gruppi e gli ammassi di galassie. Infatti, questi tre buchi neri segnano la presenza di altrettante galassie massive, che si trovano a poca distanza l’una dall’altra. «Questo è quello che chiamiamo un proto-gruppo, cioè un gruppo di galassie che abbiamo colto nei suoi primi istanti di formazione – ha concluso Fumagalli -. Sistemi come questo ci aiutano a capire meglio come si formano le più grandi strutture cosmiche, cioè gli ammassi di galassie, che vediamo oggi nel nostro universo».
Michele Boni