Mi è caro e doveroso ricordare l’amico artista Bruno Chersicla ( Trieste 1937 – Besana Brianza/Zoccorino 2013), artista di chiara fama, che ho accompagnato per anni nel suo percorso vivace, significante e cosmopolita. Ricordo ancora oggi quando mi veniva a prendere in macchina a Milano per portarmi nella sua casa-filanda di Besana Brianza-località Zoccorino, per farmi conoscere i lavori nuovi che via via portava avanti; una crescita umana e artistica per ambedue, durata decenni, e gli ho poi testimoniato la mia ammirazione per quanto andava facendo, quando nel 2008 essendo presidente di giuria del Premio delle Arti – Premio della Cultura al Circolo della Stampa di Milano, volli che fosse assegnato a lui il Premio con questa motivazione: “Espressione della cultura artistica contemporanea, le proposizioni di Bruno Chersicla travasano oltre l’idea di funzione nell’oggetto estetico, il fattore di ardua progettualità, unitamente a una storia della vita e del mondo, dell’uomo e delle sfere che riguardano il simbolo e il mistero che tali forme evidenziano, ricavando non solo lusinghieri giudizi dalla critica ma ponendosi segnale di lucido e ironico interprete della realtà”.
Nella xilografia è stato un genio. L’avevo conosciuto personalmente in occasione della sua mostra tenuta nel 1976 nella storica Galleria di Ada Zunino in Via Turati. Ricordo che da Roma salii a Milano appositamente perchè Ada Zunino, la regina degli artisti, volle che fossi io a presentare nella sua galleria la sua mostra così ricca e nuova di istanze internazionali. In Brianza e a Besana Brianza trovò la forza e la creatività di movimentare la sua arte in tutto il mondo. Ne sono testimone essenziale. Chersicla è stata una figura d’artista incredibilmente carica di umanità, di propositi, di illuminazione. Aveva disegnato, dipinto, scolpito, suonato jazz e bossa nova -le passioni della sua vita- era un artista dalla cifra stilistica inconfondibile e personalissima e dalla natura tenace ed equilibrata, in cui lo spirito festosamente bohemienne s’intrecciava a una sottile e acuta sensibilità per le espressioni surreali e d’avanguardia della nostra cultura e dell’anima del ‘900.
Infaticabile e appassionato, solo alcuni giorni prima di morire aveva portato a termine l’ultima scultura, commissionatagli dalla multinazionale brianzola Agrati Group; era per l’amministratore delegato, tutta costellata di viti e bulloni, fiori all’occhiello della produzione.
A Trieste aveva abitato nella sua fascinosa e scenografica casa-studio di via S. Marco, che fino al 1980 aveva ospitato l’“Osteria da Rosa” dei suoi genitori: a Bruno piaceva raccogliere intorno al pianoforte, tra le pareti costellate delle sue opere e di quelle di artisti come Sambo, Russian e Bastianutto, gli amici triestini, che si accomodavano accanto alla presenza surreale e quasi inquietante delle sculture lignee della Venere di Milo e di Joyce, che in fondo era uno di loro. Amici triestini, tra cui molti artisti e compagni dell’Istituto d’arte ”Nordio”, amati e mai dimenticati, da quel lontano ‘66 in cui era partito per Milano, dov’era riuscito a farsi strada, grazie al grande talento e alla volontà.
«Furono anni durissimi – raccontava – ho vissuto per molto tempo in una stanza di 2 metri per 3, che era per me abitazione e studio, in cui cucinavo su un fornelletto da campo la pasta con il gulasch che mia madre Rosa mi preparava a Trieste, lavorando fino a notte fonda ai miei progetti artistici, mentre di giorno ero occupato in un’azienda di grafica». Era l’Ensa, di cui in breve diventò art director e che lasciò nel 1982. Poi l’acquisto di una vecchia filanda semidistrutta a Zoccorino in Brianza, che trasforma in un’affascinante casa-laboratorio, articolata su più piani, con tanti libri, opere d’arte e la soffitta, che lui chiamava “la bohème”, dove completava le sue sculture.
Nella Milano del miracolo economico, i germi creativi e i suggerimenti raccolti negli anni mitici del “Nordio” danno i loro frutti: «La mia classe – amava ricordare – apparteneva al primo anno accademico e ricevetti molto da insegnanti quali Predonzani e Bastianutto». La competenza tecnica sostiene l’intuizione e Bruno “forgia” la sua maniera, giungendo via via a comporre quei “Ritratti e Paesaggi della Mente”, in cui le radici mitteleuropee s’intrecciano al rigore intellettuale, matematico (che non a caso sottende la musica) e del design, e al suo fantasticare al di là degli schemi. Riesce a esprimere l’essenza del soggetto attraverso un’efficacissima linea di contorno, che incide carta o legno, affascinando il pubblico in tutte mostre più importanti, da Atlanta a Chicago, Lubiana, Miami, New York, Parigi, Toronto. Grazie anche all’ineffabile maestria nel trasformare il racconto in un sogno composto d’intuizione estetica e psicanalitica, enigma, poesia e gioco: memore delle istanze costruttiviste e del Bauhaus e sensibile a quell’avanguardia, che aveva sperimentato nella Trieste anni ’60, fondando il gruppo Raccordosei con Reina, Caraian, Cogno, Palcich e Perizi.
Una intera vita per l’arte, con opere capitali e straordinarie andate in asta nel 2016 -dopo la morte-, alla Casa d’Aste Stadion di Trieste. Voglio ricordarlo oggi, come sempre d’altronde ho fatto, visto che, dalla scomparsa nella Brianza che l’adottò, non è mai stato ricordato dalla sua città natale, Trieste. Avrebbero dovuto dedicargli una piazza. Sepolto nell’oblio già al funerale, disertato da tutti i pubblici amministratori. In asta nel 2016 sono andati circa centosessanta, tra dipinti e sculture, le opere di proprietà dell’erede, la compagna Melitta Botteghelli; l’intero atelier di Chersicla, finora conservato a Zoccorino, in Brianza, nell’ex filanda diventata casa e laboratorio dell’artista alla fine degli anni ’60.
È stato un colpo d’occhio straordinario ritrovare il suo lavoro nelle sale della Stadion sulle Rive, dove con il catalogo, le foto dei lotti, l’allestimento migliore per “cerambici”, “baroki”, ingranaggi e teste, medaglioni e disegni, vi era anche l’esercito di legno delle sue imponenti sculture. “Ci ho pensato a lungo, è stato difficile prendere questa decisione e sicuramente non sto bene” ha detto Melitta Botteghelli, per trent’anni compagna di Chersicla, che la maggior parte delle opere esposte in asta alla Stadion le ha viste nascere, le ha vissute.
Quasi mezzo secolo di colori, di invenzioni, di rigore e fantasia, che hanno fatto di Chersicla, Premio delle Arti 2008 e San Giusto d’oro nel 2009, pitto-scultore, scenografo e jazzista, un artista inconfondibile nel panorama nazionale e non solo. Con mostre a Chicago, Miami, Buenos Aires, Vienna, New York, Losanna, Toronto, Lubiana, Atlanta, Houston, quest’ultima tra le prime città a tributargli un omaggio post mortem, con pezzi provenienti da collezioni private.
Nel 2009 a Palazzo Borghese a Firenze gli curai la mostra “Virtual Museum” con quaranta tondi celebrativi di grandi maestri dell’arte italiana per lo più rinascimentale più il celebre collezionista con il tondo di Luca Della Robbia nell’anno che lo celebrava. E infine non va dimenticato che Bruno Chersicla è intervenuto – per citare lavori brianzoli – anche nella chiesa del Collegio San Giuseppe Villoresi a Monza, nelle vetrate del Santuario di Vimercate e nelle sculture per la chiesa dell’Annunciazione di Peregallo.
Carlo Franza
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Nato nel 1949, Carlo Franza è uno storico dell’arte moderna e contemporanea, italiano. Critico d’arte. È vissuto a Roma dal 1959 al 1980 dove ha studiato e conseguito tre lauree all’Università Statale La Sapienza (lettere, filosofia e sociologia). Si è laureato con Giulio Carlo Argan di cui è stato allievo e assistente ordinario. Dal 1980 è a Milano dove tuttora risiede. Professore straordinario di storia dell’arte moderna e contemporanea (Università La Sapienza- Roma) , ordinario di lingua e letteratura italiana. Visiting professor nell’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e in altre numerose università estere. Giornalista, critico d’arte dal 1974 al 2002 a Il Giornale di Indro Montanelli, poi a Libero dal 2002 al 2012. Nel 2012 ritorna e riprende sul quotidiano “Il Giornale” la sua rubrica “Scenari dell’arte”.