PsicopatologieNasce l’osservatorio

Scompenso cardiacoRiuniti in cattedra

Creare un osservatorio permanente sull’epidemiologia e la clinica dei disturbi psichici nei pazienti migranti che abitano in Lombardia, regione che ospita più di un milione di stranieri. È questo l’obiettivo a cui sta lavorando il Dipartimento di Salute Mentale degli Ospedali Riuniti di Bergamo, in collaborazione con il Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda Ospedaliera di Cremona.

Il progetto sarà condiviso con gli altri DSM lombardi, alla presenza delle più alte cariche della Società Italiana di Psichiatria, giovedì 25 febbraio alla Casa del Giovane (Via Gavazzeni,13 a Bergamo), in occasione del convegno «Psicopatologia e psicofarmacologia dei migranti: verso un osservatorio clinico ed epidemiologico regionale».

Lo strumento su cui appoggiarsi esisterebbe già ed è il sistema informativo psichiatrico, già da anni attivo in Lombardia, e meglio conosciuto come PSICHE. Si tratta di un’applicazione informatica in cui i Dipartimenti di Salute Mentale della Regione Lombardia inseriscono le anagrafiche dei pazienti e gli interventi che vengono eseguiti, dalla visita alla somministrazione della terapia, dal ricovero alle attività riabilitative.

L’utilizzo principale dello strumento è la rendicontazione in Regione dell’attività eseguita mensilmente. Ma PSICHE è anche un data base immenso e molto ricco di informazioni, un ottimo punto di partenza per incrociare variabili e fare analisi anche molto sofisticate. «PSICHE, in quanto strumento informatico di lavoro condiviso e conosciuto da tutti gli operatori psichiatrici della Lombardia – ha spiegato Massimo Rabboni, responsabile del Dipartimento di Salute Mentale degli Ospedali Riuniti di Bergamo -, potrebbe costituire il denominatore comune di un confronto tra servizi psichiatrici e la base di una riflessione sui modelli di intervento nei confronti degli stranieri con malattia mentale».

«Naturalmente dovrà essere integrato da conoscenze e valutazioni di natura qualitativa su un fenomeno destinato a crescere e dai contorni già molto complessi. Gli indicatori a nostra disposizione ci dicono che raggiungeremo quota 10 milioni di stranieri in Italia molto prima di metà secolo, cioè il 20% della popolazione. Questo significa che probabilmente saremo sempre più chiamati a confrontarci con il paziente straniero e quindi con manifestazioni del disagio psichico che non conosciamo perché radicate in culture diverse dalla nostra».

La provincia di Bergamo è al terzo posto in Lombardia per numero di immigrati, dopo quella milanese e bresciana. Al 31 dicembre 2007 gli stranieri residenti in provincia erano 89.451 ovvero l’8.4% della popolazione e il 14% in più rispetto al 2006. In questi ultimi anni, pur non avendo registrato un aumento negli accessi degli stranieri proporzionale alla crescente pressione migratoria, i Riuniti hanno assistito ad un aumento costante dei primi contatti con il Dipartimento di Salute Mentale.

«Oggi gli stranieri rappresentano il 20% dei nostri pazienti – ha precisato Rabboni -. Accedono soprattutto agli SPDC e in regime di urgenza, quando cioè la cura non è più rinviabile. Questo, oltre a non facilitare il compito dei curanti, denota la loro difficoltà a intraprendere azioni di prevenzione e anche poca conoscenza dei percorsi di accesso ai servizi psichiatrici, oltre a riflettere modi diversi di concepire e anche curare la malattia mentale. Questa è una prima area su cui dobbiamo lavorare. Un altro problema è di tipo linguistico, che possiamo superare solo attraverso una sistematica collaborazione con i mediatori culturali, a cui deve essere affidato il compito non solo di fare una traduzione linguistica, ma di costituire un ponte di collegamento tra due mondi culturali».

La maggior parte degli stranieri che accedono per la prima volta al Dipartimento di Salute Mentale dei Riuniti sono donne, ricalcando la medesima incidenza riscontrabile anche nella popolazione italiana, e hanno un’età compresa tra i 24 e i 34 anni, al contrario di ciò che succede per gli italiani che mostrano invece una distribuzione più omogenea dei primi contatti per fasce d’età.

«L’intervallo tra 24 e 34 anni è quella più a rischio di essere esposta a eventi stressanti di natura economica e sociale, non essendo supportata da un’identità culturale già strutturata – ha spiegato Rabboni -. Anche se ciascuna area di provenienza appare caratterizzata da specifiche frequenze diagnostiche, le diagnosi più frequenti sono le sindromi nevrotiche e affettive, mentre le sindromi schizofreniche e deliranti hanno un’incidenza doppia rispetto agli italiani».

Verosimilmente questo si spiega per l’influenza di fattori di rischio sia di natura ambientale, come il clima e l’alimentazione, sia di natura socio-economica. Allo stato attuale però si tratta solo di ipotesi che necessitano di una validazione per confronto. «L’osservatorio che vogliamo creare – ha concluso Rabboni – permetterebbe di confrontare l’accuratezza delle diagnosi e la riproducibilità delle tecniche diagnostiche, creando un flusso informativo affidabile e continuativo tra i Dipartimenti di Salute Mentale. Questo porterebbe alla definizione di indicatori specifici che ci permetterebbe analisi epidemiologiche e cliniche più raffinate e quindi approcci terapeutici condivisi e più efficaci».