L’editoriale del direttore: cari lavoratori, i diritti si fanno rispettare con più lotta (e più dura)

È arrivato, anche quest’anno, il Primo maggio. E, in tutta onestà, viene da chiedersi cosa ci sia da festeggiare.
Cristiano Puglisi
Cristiano Puglisi

È arrivata, anche quest’anno, la Festa dei lavoratori. E, in tutta onestà, viene da chiedersi cosa ci sia da festeggiare. Non solo perché, in Brianza, questa ricorrenza è tragicamente coincisa con l’ennesimo caso di “morte bianca”, ma anche perché, come abbiamo recentemente riportato anche sulle colonne de il Cittadino, sebbene l’offerta di impiego ultimamente non scarseggi (soprattutto dalle nostre parti), questa è sovente ben lontana dall’essere dignitosa. Lo ha ricordato, in un recente articolo su Il Fatto Quotidiano anche il presidente nazionale delle Acli, Emiliano Manfredonia, sottolineando come tra precarietà e mancanza di garanzie “siamo diventati testimoni di un ’lavoro povero’ che impoverisce gli italiani e ne ipoteca il futuro, figlio di “un’idea cinica di produttività, non basata sulla qualità ma sul tagliare i costi”, inclusi anche quelli derivanti dagli obblighi relativi a sicurezza e tutele, che in troppi casi vengono aggirati.

Tutto questo, però, non è avvenuto dall’oggi al domani. La colpa, perciò, è anche di chi (gli stessi lavoratori) da troppo tempo ha smesso di lottare per la propria dignità con coscienza “di classe”e la necessaria durezza, consentendo a troppi “furbetti” di stuprare quel diritto a un’esistenza libera e dignitosa che (è bene ricordarlo) non è mai donato per gentile concessione, ma previsto dalla Costituzione.