Ornago, la cucina è benemeritaNapolitano premia Matteo Scibilia

Il ristoratore di Ornago Matteo Scibilia riceverà giovedì 18 aprile a Roma il diploma ai benemeriti della scuola, della cultura e dell'arte, riconoscimento assegnato dalla Presidenza della Repubblica italiana. Napolitano premia il valore culturale della cucina italiana.
Ornago, la cucina è benemeritaNapolitano premia Matteo Scibilia

Ornago – Prima di tutto il risotto. Giallo, per intenderci, allo zafferano. E sì, l’ideale sarebbe con il midollo, per dargli quel sapore che i nonni conoscevano e noi chissà. Esagerando: con l’ossobuco. C’è poco di più milanese, di più lombardo per sineddoche. Come dire Perego e pensare Brianza&bulloni. E lui, barese di Bari, ne ha fatto una firma, tanto quanto ha fatto tesoro della sua competenza gastronomica per essere considerato uno dei più importanti esperti di prodotti per la ristorazione. Si chiama Matteo Scibilia, ha un ristorante, a chiamarlo chef un po’ si risente e ti dice: ristoratore. Bene: il ristoratore Matteo Scibilia sarà il primo protagonista della cucina italiana a venire premiato dalla presidenza della Repubblica per meriti culturali.
Perché Gualtiero Marchesi lo hanno fatto commendatore, e d’accordo. Ma lui, più o meno ogni sera dietro i fornelli dell’Osteria della buona condotta di Ornago, giovedì 18 aprile riceverà a Roma il diploma ai benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte. Che di solito finisce al bavero di letterati e musicisti, filosofi e architetti, artisti e poeti, e che questa volta finirà sulla toque di un cuoco. Il ristoratore risottatore barese di Ornago ha scoperto le arti del cibo quando era milanese. La tecnica, chiaro, perché chi nasce in Puglia da un padre salumiere impara a dire mamma così come a riconoscere un sapore vero da uno falso.
«A pensarci oggi, sembra che gli odori allora fossero un’altra cosa, sono profumi che non si sentono più», racconta. «A Milano ci siamo trasferiti con la famiglia quando avevo diciassette anni. Proprio come ci si immagina gli immigrati, con le valigie di cartone. Per poi iniziare a lavorare e a studiare. Mio padre ha fatto il ferroviere. Io andavo a lavorare di giorno e a studiare la sera». Poi il militare («il bersagliere, sì, ma non è che correvo: facevo l’infermiere, forse per merito degli studi in chimica» racconta ridendo) e quindi un mestiere per vivere: tanto per incominciare, a metà degli anni Settanta, informatore del farmaco. Il destino era dietro l’angolo.
Un giorno accetta di lavorare per Procter & Gamble e inizia a fare il rappresentante di tonno Riomare e Manzotin. È l’incontro con il mondo del food. «E dagli americani si imparava tanto. Intanto a lavorare bene, perché se lo fai ti gratificano, altrimenti ti cacciano. E poi a conoscere i meccanismi del commercio. Così quando ho deciso che era tempo di cambiare, sapevo bene come muovermi». Era il 1980 e a Milano sembrava che tutto fosse possibile. Allora Scibilia ha iniziato a mettere insieme la sua agenda dei prodotti di qualità per portarli ai ristoratori. Il fegato grasso, l’agnello presalè, molto altro. «Andavo dagli chef, anche quelli importanti, per mostrare loro come trasformare queste materie prime, spesso li invitavo anche a casa mia e cucinavo per loro». Finché un giorno Marchesi gli disse: «Ma visto che le sai usare, apriti un tuo ristorante». E Scibilia ha pensato: be’, sì. Nel frattempo aveva incontrato la sua futura moglie, a un corso per sommelier, e Nicoletta Rossi ancora oggi è al suo fianco nella vita e in sala. Prima un wine bar a Vimercate («nel 1990, non è che i wine bar, soprattutto in provincia, fossero abituali») poi la gestione del bar all’Osteria della buona condotta, quindi il ristorante stesso.
Lo stesso che ora, spostato da Vimercate a Ornago, lo ha portato a meritarsi il diploma. Chi c’è dietro? Due ministri. Prima Sandro Bondi, poi Lorenzo Ornaghi, entrambi clienti. Con entrambi Scibilia ha parlato di una sua antica convinzione: che la cucina italiana sia un fatto culturale. E fondamentale per la nazione. Gli hanno dato ragione. Anzi: hanno deciso entrambi, uno dopo l’altro, di premiarlo con un riconoscimento della Repubblica, la proposta alla fine è arrivata a destinazione. Il decreto Napolitano lo ha firmato alla fine di marzo, il 25: giovedì diventerà realtà. E il risotto? «Il piatto della vita. Perché è una materia neutra, il riso, capace di assorbire le culture di chi lo fa. Con i gamberi può essere iindiano, con lo zafferanno milanese, con le patate una tiella pugliese. Il riso è il cibo del mondo».
Massimiliano Rossin