Monza – «Lascia perdere Lea». Lea è Lea Garofalo, collaboratrice di giustizia anti ‘ndrangheta uccisa e sciolta nell’acido in un terreno di San Fruttuoso di Monza. Chi parla è il suo assassino, l’ex compagno Vito Cosco. Parole messe nere su bianco in una lettera inviata a Luigi Bonaventura, un pentito che dal carcere di Termoli veva fatto dichiarazioni sulla vicenda. Cosco, secondo quanto riporta «Il Giornale di Calabria» gli ha intimato di “parlare delle cose di cui è a conoscenza diretta, lasciando perdere la storia di Lea”. Per la barbara esecuzione, a marzo di quest’anno, la Corte d’Assise di Milano ha condannato Cosco e cinque complici alla pena dell’ergastolo.
Intanto, per l’inchiesta ‘Infinto’, lunedì, al tribunale di Milano, è cominciato il processo d’appello del maxi processo alla ‘ndrangheta brianzola e lombarda. Si tratta del primo filone processuale, quello celebrato col rito abbreviato in primo grado, e che ha portato alla sentenza di condanna (gup Roberto Arnaldi) per un totale di oltre mille anni di reclusione inflitti a più di cento esponenti della criminalità organizzata calabrese operanti in 15 diverse ‘locali’ attive in tutta la regione, e finiti in carcere nel corso della retata di due anni fa.
Dopo l’appello degli imputati, il processo di secondo grado è stato rinviato al 26 novembre in aula bunker. In quella data, dovrebbe essere fatta la relazione introduttiva, prima che la parola passi al procuratore generale per le sue conclusioni. La sentenza di condanna di primo grado, era stata letta tra le urla di disapprovazione degli imputati. Attualmente, è in corso l’altro procedimento, celebrato però davanti al tribunale ordinario. L’inchiesta Infinito ha svelato le attività delle cosche in Brianza, tra estorsioni e omicidi. F. Ber.