Le parole chiave sono concentrazione, produttività e musica. L’equazione si completa col silenzio più assoluto o con un aiutino? Lo studente sa che in classe o in biblioteca non deve volare una mosca, nessun rumore che possa creare disturbo. Quando cresce, entra nel mondo del lavoro e (se riesce) approda in un ufficio, o una redazione o uno studio, l’ormai ex studente si troverà in un’altra condizione: sempre un open space in cui tutti hanno un compito da svolgere. O almeno così dovrebbe essere. Comunque un luogo in cui un silenzio di tomba diventa brusio, parole, telefonate, toni di voce sovrapposti, risate (alle volte). Riecco, concentrazione e produttività. E soprattutto tot teste con cui avere a che fare, ordinatamente schierate sull’arcobaleno delle proprie convinzioni.
Dipende dal posto e dalle persone, ma ognuno ha bisogno del proprio sound of silence. Che sia sound o silence.
Una recente ricerca ha verificato che l’ascolto della musica sul posto di lavoro ottiene l’effetto di migliorare l’umore e la creatività, che due persone su tre (il 61%) ascoltano musica e che oltre un terzo (36%) risulta più produttivo se ascolta musica mentre lavora.
E poco importa che la ricerca sia stata commissionata da Spotify, la piattaforma di condivisione in streaming di musica on demand (con oltre 20 milioni di brani a disposizione, un po’ come chiedere a Ciccio chi fa le torte più buone di Paperopoli). “Ami ascoltare musica al lavoro? Non sei da solo”, esordiva.
La ricerca ha svelato anche che il 16% degli intervistati usa la musica per isolarsi e che una persona su dieci “ammette di giudicare un collega sulla base dei suoi gusti musicali” (non dite di no). Secondo l’indagine di Spotify negli uffici il genere musicale più popolare è il pop, scelto da più di un terzo degli utenti (34%), inseguito dal rock (29%). Al top delle classifiche ci sarebbe Adele ma c’è anche una playlist ideale, una sorta di colonna sonora fatta di brani scelti a seconda dell’obiettivo da ottenere.
”Se è necessario aumentare la concentrazione e isolarsi dalle distrazioni dell’ufficio, basta selezionare musica che utilizzi diversi strumenti e che abbia un suono e un ritmo regolare”, spiegava la dottoressa Anneli Haake che ha condotto lo studio: per motivarsi viene scelta “We Can’t Stop” di Miley Cyrus; per concentrarsi, “Drunk in Love” di Beyonce’; per tirarsi su viene scelta “Get Lucky”, di Daft Punk featuring Pharrell. Poi c’è chi non rinuncia alla classica, chi si butta sulla discografia dell’artista più amato o su un solo genere, chi mischia dal prog alle ultime hits. D’altra parte l’ha già insegnato la storia o Full metal jacket (e pure lo sport, il relax e tante altre cose che meritano una colonna sonora).
L’unica avvertenza vera è cercare di evitare l’ascolto di album nuovi perché volente o nolente il cervello deve scegliere su cosa concentrarsi, e uno dei due – il lavoro o i brani – passerebbe in secondo piano. In ordine di priorità dell’inconscio.
La ricerca indugia anche sull’utilità di un breve balletto improvvisato, per scatenare endorfine (vale anche da seduti?), e sull’educazione di chi “sembra voler bilanciare i propri gusti musicali con le esigenze dell’ufficio. Le persone stavano molto attente a non disturbarsi a vicenda e non volevano apparire poco professionali di fronte ai clienti”.
Ed ecco la benedizione di un’invenzione tra le più utili al mondo: le cuffie, gli auricolari. Consentiti a chi non ha a che fare con un pubblico, possono salvare la vita. All’iperconcentrato, al casinista, a chi cerca cinque minuti di pace, all’antisociale. Perché se ascoltare musica, e la propria musica in particolare, rende felici, non farlo porta all’effetto contrario. E i lamentoni non piacciono a nessuno. Ma questa è un’altra ricerca.