Prima di parlare dello sfortunatissimo Charles Leclerc e del fortunatissimo Lewis Hamilton, della sfortunata Ferrari e della fortunatissima Mercedes, voglio parlare di quel che oggi ho ritrovato dopo gare e gare noiose su piste che non consentivano imprese tecniche né emozioni particolari. Oggi ho ritrovato la Formula 1, quella che avevo visto sulle piste di tutto il mondo, lo sport di quelli che noi chiamavamo i cavalieri del rischio. Oggi, sconfitto quasi del tutto il rischio dalla tecnologia, ho ritrovato i cavalieri. Quel che ho visto a trecento metri dal traguardo e dopo l’arrivo mi ha riconciliato con uno sport che spesso mi aveva procurato solo delusioni. Ho visto un ragazzo considerato uno scavezzacollo, un pilota che spesso ho criticato per certe sue avventure al limite del lecito, ho visto quel pilota rispettare il valore di un suo coetaneo e rinunciare al podio. Ho visto Max Verstappen a trecento metri dal traguardo, quando la safety car ha lasciato liberi i piloti per l’ultimo sprint, tirare su il piede e lasciare il podio a Charles Leclerc. Non vedevo un gesto del genere da tanti anni, diciamo quaranta: da quando nel 1979 Gilles Villeneuve a Monza rispettò la vittoria di Jody Scheckter. Ma erano compagni di squadra alla Mercedes mentre oggi, Max e Charles sono invece due galli con penne diverse che cercano di primeggiare nel pollaio più veloce del mondo.
Tagliato il traguardo vittorioso e giunto al recinto, Lewis Hamilton non ha compiuto il solito rito: slacciarsi il casco, saltare sull’auto e correre a tuffarsi fra le braccia dei suoi meccanici. No: è sceso dalla monoposto, ha cercato Leclerc e lo ha abbracciato. Poi, all’intervistatore di turno ha detto: “Questo è un ragazzo che mi darà molto fastidio”. Bello proprio bello: in Formula 1 i cavalieri esistono ancora.
Toto Wolf ha riconosciuto di aver avuto fortuna nel vincere il GP del Barhein. Mattia Binotto ha riconosciuto che alla Ferrari è mancata l’affidabilità. Onestà fino in fondo. Cavalieri anche ai box. I pregi della Ferrari sono stati due: l’aver ritrovato la prestazione, e con essa la velocità in rettilineo; e l’aver concesso a Leclerc di poter fare la sua corsa, di asfaltare Sebastian Vettel con un sorpasso mozzafiato, dopo avergli ceduto il passo in partenza. Il difetto della Ferrari, invece, è stata la mancanza di affidabilità. Un’ala anteriore che si stacca senza contatti dopo un testa-coda (quello di Vettel nel suo duello con Hamilton per la seconda posizione) è fatto preoccupante che va indagato per bene. Un motore che perde potenza a 14 giri dalla fine e costa a Charles Leclerc la vittoria e la seconda posizione (la terza, come dicevo, gliel’ha concessa Verstappen) è guaio ancora più grave perché va inserito nella componentistica della power unit che evidentemente ha risentito di qualità. Vedendo Leclerc procedere lentamente, superato dalle due Mercedes di Hamilton e Bottas, e graziato da Verstappen mi è tornato in mente il GP del Sud Africa 1978. Quando Riccardo Patrese dopo aver superato, una staccata dietro l’altra con l’Arrows disegnata da Tony Southgate, Jabouille, Watson, Andretti, Lauda, Schekcter, Depailler, Peterson a 15 giri dalla fine restò senza motore e fu costretto a ritirarsi.
L’affidabilità in Formula 1 è molto importante. La Mercedes del Barhein 2019 non ha avuto la stessa velocità della Ferrari, Leclerc ha sverniciato Hamilton con un sorpasso perfetto, ma alla fine le Frecce d’argento sono salite entrambe sui primi due gradini del podio. Hamilton s’è dimostrato ancora una volta pilota eccezionale, molto acuto nel gestire la gara, duro nei momenti cruciali come ad esempio in occasione del duello con Vettel, saggio nel non andare subito all’arrembaggio ma accontentandosi del secondo posto in attesa del colpo di fortuna. Che spesso in Formula 1 arriva: il Barhein non ha fatto eccezioni.
Il problema da risolvere a Maranello, dunque, è chiaro: affidabilità. In attesa di rivedere in Cina, fra 15 giorni, una macchina strepitosa in qualifica e ujn giovane pilota strepitoso in gara.