Monza – C’è di buono che dura poco: quattro minuti scarsi, tolto il tempo della scopertura del monumento e la folla plaudente che sciama come un’ondata in una tinozza da una parte all’altra della piazza. Dura poco, il discorso: quel tanto di retorica che basta e poi una battuta che fa sorridere. Se non fosse che poi arriva il saluto romano dall’alto del balcone del municipio di Monza e ti ricorda che è lui, proprio lui, e allora tutti i fantasmi dell’imminente tragedia nazionale prendono carne.
Era il mese di novembre del 1932 e l’istituto Luce riprendeva l’inaugurazione del monumento ai caduti di piazza Trento e Trieste – non c’è partita, era più bella di adesso. A celebrare il momento era arrivato Benito Mussolini con il suo corteo di divise e si era preso tutto il pubblico che era possibile immaginare. Un folla che sciama da una parte all’altra per ascoltare il duce nel decimo anniversario della rivoluzione fascista. Quel monumento compirà ufficialmente ottant’anni tra una manciata di mesi e il regalo più bello – bando alle indebite nostalgie quanto all’ostracismo ideologico – a Monza lo fa youtube.com insieme all’Istituto Luce: venerdì hanno varato un accordo e un progetto comuni capaci di riversare online 30mila filmati dello storico istituto nazionale di cinematografia didattica. In altre parole, centinaia di ore di documenti storici irripetibili che restituiscono anche alla città di Teodolinda e alla Brianza monzese una fetta del suo passato in trentacinque millimetri.
Per i monzesi e i brianzoli, un patrimonio che per ora comprende un centinaio di filmati dove l’autodromo nazionale, ovviamente, occupa un posto di rilievo assoluto. E per parlare di miti, leggende, e storia in movimento video, basterà l’epopea del pilota Alberto Ascari, protagonista di molti documenti compreso quello dei suoi funerali dopo il tragico incidente di Monza.
Ma non basta. Perché l’Istituto Luce riflette soprattutto uno sguardo profondo e inequivocabile del “come eravamo”. Eravamo quelli che
nel mese di settembre del 1948, a nove mesi di distanza dall’entrata in vigore della Costituzione che decretava definitivamente la fine del ventennnio fascista e della guerra, celebravano a Monza, nel suo parco, una festa dell’Unità titanica, con corteo di carri (allegorici, ma è solo un traslato) come quello che lo speaker racconta essere stato inviato da Bologna. Che poi racconta che la festa oltre alla musica si offre all’«improvvisazione fantasiosa» e parla di «tregua dal lavoro», accenna alla «colazione sull’erba» per rifrescare un po’ di impressionismo giornalistico e commenta la pappa del bimbo, il vino bevuto per brindisi e i «ragazzi che da poco hanno lasciato le macchine dell’officina» e ora si buttano «sul boogie woogie».
Ma la politica non è tutto (per fortuna) e allora c’è la storia del monzese Guglielmo Fenaroli «che possiede (febbraio 1953) una cambiale da 500 miliardi tedeschi» che «risale al 1923, all’epoca del crollo del marco» e ormai non può fare altro che guardarla senza poterla incassare, «così il paese delle cambiali – chiosa il cronista – vanta un record non omologabile». Oppure c’è la prima olimpiade dattilografica, datata 1950, quando alla Villa reale di Monza si riversarono centinaia di impiegati per vedere chi fosse il più veloce a battere a macchina per scrivere: tre categorie distinte per velocità di battitura – e si parla di centinaia, altroché – dove caso strano, al contrario degli altri esami, «si deve controllare che si copi». «Qualcuno fa pensare ai monaci», descrive il commento audio, poi ci sono «le intrepide ginnaste della mandibola» (e la camera indugia su una donna che mastica una gomma) e quindi i «benemeriti del monopolio che sterminano le sigarette senza bruciarle».
E ancora: 15 aprile 1953, in coda ai servizi su reali vari in giro per l’Italia arriva la notizia del crollo di un palazzo in costruzione a Monza, le cui mura hanno seppellito un operaio che fortunatamente viene salvato dai soccorritori. Oppure le corse sui pattini a rotelle per la città, quelle in auto all’autodromo, la leggendaria Triennale di arti applicate.
E poi lui, Benito Mussolini, che si affaccia al balcone del municipio da cui oggi potrebbe sporgersi Roberto Scanagatti, uno sguardo alla prospettiva di piazza Trento e Trieste che allora avrebbe abbracciato edifici diversi, senza il famigerato palazzo dell’Upim. In mezzo il monumento ai caduti, novembre 1932, la sua inaugurazione – tra quattro mesi ottant’anni. «Popolo della laboriosa Brianza» esordisce lui e la folla risponde in un boato. Poi se la sbriga con qualche minuto stringato di discorso farcito di retorica d’antan per ricordare la vittoria del Piave, la vittoria che «si librava impetuosa con le sue ali d’acciaio» per poi ricordare i giovani «che si batterono da leoni» (un buon modo per dire cadaveri, ma tant’è) per poi sentenziare che «noi per primi abbiamo vinto per tutti gli altri».
E allora: «Venendo tra voi io ho adempiuto alla mia promessa. Ne avevate mai dubitato?» chiede alla calca entusiasta che risponde un rombante «no» e da cui esce una sola, squillante voce fuori coro. Che ad ascoltarla oggi fa pensare spendesse un bel sacco di ironia, quella voce. «Non credete che mantenga le promesse?» insiste ancora Mussolini. «E pure puntuale» esclama qualcuno da sotto.
Massimiliano Rossin