Mezzago, Bloom sold out per gli McrFranco D’Aniello racconta i delinqueint

Mezzago, Bloom sold out per gli McrFranco D’Aniello racconta i delinqueint

Mezzago – «Eravamo curiosi di riprovarci». Franco D’Aniello vanta con i Modena City Ramblers una carriera ventennale. E sabato sera è ritornato sul palco del Bloom di Mezzago, dopo quindici anni e con una scaletta speciale tutta dedicata a ”Riportando tutto a casa”, il primo (storico) album della band. Quello in cui, dopo aver conosciuto la tradizione irlandese, il gruppo ”scoprì di avere della poesia e lotta da mettere in musica. E che questa musica suona meglio nelle osterie e alle manifestazioni che in televisione”, scrissero sul retro del disco.

«Era il 9 aprile del 1994, se lo ricorda Luciano (Gaetani, ndr) perché era il giorno del suo compleanno. E c’era un’atmosfera di ”baracca”, come diciamo noi. Quella sera la sala era piena, piena completamente. E fu bellissimo, tanto è vero che è rimasto uno dei cult per l’epoca. Anche perché a quei tempi il Bloom era uno dei locali di riferimento per la musica dal vivo. Poi, ci eravamo arrivati cinque anni dopo i Nirvana».

Dopo vent’anni di contaminazioni musicali, dall’Irlanda alla musica popolare dell’ultimo lavoro, il ritorno al folk. Perché?
«Non abbiamo mai fatto una festa per album e concerti, però il quindicennale di ”Riportando tutto a casa” in questo momento significava una tappa importante. Così abbiamo ripescato la scaletta di un concerto di Lisbona e ci siamo messi alla prova. Avevamo voglia di far sentire al nostro pubblico più giovane cosa erano i Modena City Ramblers, quelli cresciuti sul modello musicale dei Pogues, del punk e del folk. Abbiamo fatto una scommessa: fare un concerto senza le canzoni che sono nell’immaginario del nostro pubblico. Quindi fuori La banda del sogno interrotto, Ebano, Centopassi, Libera terra, El Presidente e dentro i pezzi irlandesi. C’era anche un po’ di timore, però è stato naturale riprendere sonorità che non facevamo più. Ma che erano lì».

E come è andata?
«Ci seguono tanti ragazzi giovani, hanno quindici o sedici anni e conoscono tutto di noi. Ma a parte quelli che non abbiamo mai tolto dalla scaletta, come Ninnananna o La canzone dell’addio, c’erano brani che dal vivo non avevano mai sentito. Come Contessa, che per una decina d’anni non abbiamo più suonato. È stata una sfida anche per noi ed è andata molto bene: è stato recepito il senso del progetto, sotto il palco si sono ritrovati i fan della prima ora e i più giovani senza che ne uscisse un’operazione nostalgia. Il risultato è una scaletta di due ore di concerto che scivolano via senza che neanche ce ne accorgiamo».

”Riportando tutto a casa”, ”Terra e libertà”, ”Appunti partigiani”: vent’anni di carriera, un migliaio di concerti, un pubblico ringiovanito. Ma il vostro impegno è immutato: conta ancora?
«Certo che conta, conta moltissimo. Non solo l’impegno politico, ma anche civile, fisico e morale. Conta e non si può prescindere dall’impegno nei contenuti. Forse oggi c’è chi ha bisogno più di sopravvivere che di impegnarsi, ma così si è creato quel gap culturale tra chi deve portare a casa la giornata e chi vorrebbe protestare. È il dramma della politica che si è allontanata dalla strada e dai lavoratori; ed è il rischio anche dei molti artisti che hanno abbandonato un approccio politico o l’impegno nelle canzoni. Nella musica però ci sono sacche di resistenza molto forti, anche se – come noi – sono ancora underground. Ma noi senza impegno non potremmo suonare più di cinque date consecutive, anche perché difficilmente riusciremmo a fare una scaletta senza canzoni che parlino di qualcosa, un’ideale o uno spunto da fatto di cronaca».

Ma ci sono alcuni brani in cui cantate un’altra Italia, di un’altra epoca. Il pubblico più giovane come reagisce?
«Quarant’anni, è una canzone attualissima e non mai andata fuori scaletta. Adesso è perfetta, sembra scritta oggi. Forse è una sconfitta, se dopo quindici anni abbiamo ancora bisogno di cantarla. I giovani l’ascoltano e riconoscono nelle situazioni di quindici anni fa i protagonisti di oggi. Per un testo come I funerali di Berlinguer invece vengono preparati. Il rischio è di essere anacronistici, ma i ragazzi che vengono a sentirci non ascoltano solo la musica, si interessano. E questa è una vittoria».

Prima del concerto del Bloom, la presentazione del dvd di ”Onda Libera” all’Antica Focacceria San Francesco, succursale milanese della realtà palermitana che per prima ha detto apertamente no al pizzo.
«È il nostro legame con Libera, il coordinamento di associazioni contro le mafie. Il dvd racconta la carovana della legalità che ci ha portato, la scorsa primavera, a suonare in quattordici beni confiscati alla mafia. ”Onda libera” è anche l’ultimo compact disc: costruito sul concetto di libertà, fa molte domande. Una persona è libera dapprima se può pensare con la propria testa. Noi, anche a chi crede di non avere il tempo per farlo, diamo lo spunto per cercare le risposte e costruirsi delle opinioni».

Tre ore più tardi. Alle ventitré il Bloom è già pieno da un’ora, proprio come quindici anni fa. Gli ultimi cinquanta biglietti, messi in vendita alle 21.30, sono andati via in un attimo, lasciando a bocca asciutta quanti avrebbero sperato in un acquisto dell’ultimo minuto. E creando uno spesso groviglio di persone davanti all’ingresso, dipanato con difficoltà dagli organizzatori. L’unica pecca della serata.

Quando si abbassano le luci, ”Tant par tacher” dà l’avvio alle danze. Franco D’Aniello (whistle), Luciano Gaetani (bouzuki), quel Luciano del compleanno, uno dei fondatori della band tornato per l’occasione dopo l’addio del ’96, Massimiliano Ghiacci (basso) e Roberto Zeno (batteria) rappresentano il filo conduttore tra il 1994 e il 2010. Francesco Moneti (splendido violino), Davide Morandi (voce) e Leonardo Sgavetti (fisarmonica) sono un altro pezzo di storia. Luca Serio Bartolini (chitarra) è l’acquisto più recente. I cinquecento sotto il palco – l’età media si avvicina alla maggiore età – ballano, saltano e cantano. Quarant’anni, In un giorno di pioggia, Contessa, Bella ciao, Il bicchiere dell’addio (scritta e cantata con mister Bob Geldof), Dirty old town (tra le cover dei Pogues) scivolano davvero via, tra ritmi incalzanti e tenere ballate. Tanta politica, tanta voglia di cantarla a squarciagola. Con un po’ di nostalgia, per chi le stesse canzoni le ha cantate e ballate quindici anni fa. Con la speranza che anche i Modena (che ad aprile saranno al Live di Trezzo sull’Adda) non le mettano da parte finito il tour.
Chiara Pederzoli