Ronco Briantino – È una storia di tenacia, di fantasia e di intraprendenza. E molto sacrificio. Ed è anche una storia giovanissima, non solo perché cominciata nemmeno tre anni fa, ma per l’età anagrafica dei suoi protagonisti, nessuno dei quali ha ancora compiuto i trent’anni. La storia è quella dello Zafferano Padano, che da qualche tempo cresce a Ronco Briantino grazie alla felice intuizione di Marco, Fabio e Alessandra Cogliati. «Abbiamo iniziato come florovivaisti – raccontano – nel 2010. Ma ci siamo resi conto di avere poco terreno, e pochi mezzi. Dunque di essere poco competitivi. Perciò abbiamo cercato una specie che si adattasse al nostro poco terreno e non troppe risorse da investire in macchinari. Anche solo un trattore può costare tantissimo».
Ma come sia finito lo zafferanno a Ronco Briantino non si può spiegare solo con la necessità: «Cercavamo – prosegue Marco Cogliati – anche quelcosa di caratteristico, che non fosse come le solite cose che si coltivano qui da noi. Così abbiamo pensato allo zafferano». Spezia preziosa, che richiede un intenso lavoro concentrato in pochi periodi, un’enorme pazienza, scrupolosa attenzione e una certa preparazione tecnica. Con una saggezza che ha saputo tenere le briglie dell’entusiasmo, i Cogliati si sono dapprima cimentati in una prova pilota, nel 2011.
Hanno piantato un migliaio di bulbi – che fanno circa dieci chili – sia per assicurarsi che il terreno ronchese fosse adeguato, sia per misurare l’aspettativa e il consenso attorno al loro futuro prodotto. «Abbiamo potuto contare sull’appoggio dei gruppi di acquisto solidale, che hanno mostrato interesse per un prodotto a chilometro zero, come alcuni negozi bio e qualche ristoratore. Fioritura e resa non sono state eccellenti, ma comunque positive, allora abbiamo detto: proviamo». Così hanno fatto i bagagli, per un viaggio in Umbria e Abruzzo – terre di zafferano – per conoscere le tecniche, capire i segreti da chi lo coltiva da generazioni.
Da Cascia e da Navelli – la corte dello zafferano italiano – hanno portato a Ronco cinque quintali di cormi. Prima di piantarli, li hanno esaminati (a mano: uno a uno), per controllare che fossero sani e intatti. Poi li hanno messi nella terra, sotto il solleone agostano, insieme ai quindici chili di bulbi ottenuti dall’anno precedente. E hanno aspettato.
Il risultato? Trentamila fiori viola son venuti su dalla terra ronchese verso novembre. Vale a dire circa duecento grammi di spezia finita. Un lavoro fatto tutto a mano. E se i bulbi son stati piantati nella calura estiva, nemmeno la raccolta dei fiori – che spuntavano al ritmo di circa al giorno – è stata una passeggiata: vanno infatti prelevati prima che spunti il sole e prima che sboccino, perché gli stimmi non entrino in contatto con terra o peggio, insetti.
Radunati in piccole ceste di vimini (per non sgualcire i petali) i fiori sono stati tutti portati a casa Cogliati, a Casatenovo, e attorno al grande tavolo di legno è cominciata il lento lavoro di sfioratura (che deve concludersi prima della fine del giorno).
E poi? «E poi, una volta essiccato, siamo passati al confezionamento – spiega Marco Cogliati – sempre artigianale: abbiamo persino ideato il logo. Poi ci sono stati i mercatini, e parte è stato venduto tramite i gruppi di acquisto solidale. Per le fasi più intense del lavoro, ad agosto e a novembre, i Cogliati hanno potuto contare su quella che riassumono come «famiglia e dintorni».
La giovane età è il tratto distintivo. Insieme a Marco Cogliati, che ha 28 anni, alla sorella Alessandra, 26 e al cugino Fabio (27), hanno partecipato all’avventura dello Zafferano Padano Lorenzo Cogliati (19), Erica Limonta (26), Simone Cogliati (33), Laura Battello (23), Silvia Villa (18). E poi i grandi: Felice e Renato Cogliati (56 e 60 anni)e le mogli, Pozzoli Annamaria e Carmen Motta (58 e 55). Nessun aiuto, o contributo dall’alto: «Non abbiamo nemmeno preso il finanziamento regionale come primo insediamento, l’unico sostegno è arrivato dai nostri genitori. Ora è fondamentale capire se i cormi si moltiplicheranno in percentuale adeguata e che resa avranno i fiori».
Per la certificazione biologica inoltre serviranno ancora un paio d’anni. Ma intanto è già arrivato un riconoscimento di pregio: «Abbiamo fatto analizzare il prodotto all’Università di Milano e su quattro classi di qualità, è risultato in prima». Un riconoscimento di pregio, per il giovanissimo Zafferano Padano. Che a proposito, a chiederselo, «non c’entra con la Lega», sorridono i Cogliati, ma è «un omaggio alla nostra pianura, che infatti è presente anche nel logo». Gialla, insieme agli stimmi rossi e ai petali viola. Tutti i colori dello zafferano.
Letizia Rossi