Monza – Trentuno anni, sposato, redattore dello sport del Cittadino ma con una spiccata passione per gli studi letterari. Stefano Arosio, ideatore e conduttore della trasmissione Explora, di Monzabrianza tv, è al suo secondo romanzo, non più fantasy storico, ma proprio storico.
Da dove arriva l’idea fondante il tuo nuovo romanzo?
«Abito vicino a Villa Arconati, di Bollate, dove, insieme ad altri tesori artistici, è custodita la statua vera o presunta di Pompeo Magno. Gli studiosi si dividono tra due ipotesi: che quella statua sia in realtà di Tiberio; o che sia realmente di Pompeo, ma non quella di fronte alla quale avvenne l’assassinio di Cesare. Non essendoci una verità storica conclamata e non essendo chiaro come sia finita a Villa Arconati, ho scritto una storia ambientata nel ‘600 ma che ha le radici nell’antica Roma».
Villa Arconati, ma anche alto Adriatico e bassa pianura padana: la scelta dei luoghi a cosa è dovuta?
«Sono luoghi a me cari, perchè sono i luoghi dei nonni e zone che frequento nei periodi di vacanza da parecchi anni».
Nel libro pochi personaggi, molti sacerdoti. Preti falsi e preti veri. Perchè?
«Nel romanzo, come nella vita, la persona fa la differenza e la persona non è definita dall’abito. La seconda cosa: il bene vince due volte, perchè indica la strada anche a chi sbaglia. E forse vale la pena aggiungere una sottolineatura: le persone non sono immutabili. Anche chi si incammina su una strada sbagliata può ravvedersi»
Nel tuo romanzo usi spesso il termine quistone, un termine desueto, che cosa significa?
«Si tratta del finto prete. Nell’epoca considerata dal mio romanzo il ‘600, ma anche dopo, non era difficile che gli uomini si facessero preti per ottenere cibo, rispetto e addirittura agiatezza. Marsilius, il protagonista, ma anche l’altro congiurato, Silis, vestono l’abito talare solo per raggiungere lo scopo di riportare agli antichi splendori Roma e il culto degli dei».
Perché la scelta del ‘600 come periodo di riferimento?
«Lì dove si svolge il romanzo, dall’Adriatico alla bassa pianura padana, spesso le condizioni di miseria hanno coinciso con periodi di vuoto di potere e corruzione».
Quando hai scritto questo libro?
«Nel 2009. Devo ringraziare una persona che pazientemente mi ha lasciato impegnare ore nella scrittura: mia moglie Julieta».
Antonello Sanvito