In famiglia: raptus e disperazione. Brianza, i casi degli ultimi 4 anni

In famiglia: raptus e disperazione. Brianza, i casi degli ultimi 4 anni

2005

Casatenovo, maggio

Annega il figlio nella vasca da bagno
I giudici della Prima Corte d’Assise d’Appello di Milano hanno confermato la condanna: 14 anni e mezzo di reclusione per Mary Patrizio, la giovane donna accusata di aver ucciso il figlioletto di 5 mesi, annegandolo della vasca da bagno, a Casatenovo (Lecco). Era il 17 maggio del 2005 quando la notizia fece il giro della penisola, partendo dal piccolo comune a cavallo tra la il Vimercatese e la provincia di Lecco. Una doccia fredda per i residenti di Casatenovo, ma anche per gli arcoresi che ricordavano la biondina dal volto sorridente come la cortese collaboratrice di una panetteria storica locale. Eppure la verità ci ha messo pochi giorni a venire a galla. La Patrizio, dopo l’uccisione del piccolo Mirko, aveva inscenato un’aggressione legandosi da sola gli arti con del nastro adesivo e sostenendo che sconosciuti erano penetrati in casa uccidendo il bambino e legandola. Una tesi sostenuta per alcuni giorni, fino a quando la donna non era crollata, ammettendo il suo drammatico gesto. Il verdetto di questa settimana conferma quello già emesso in primo grado, un anno dopo l’omicidio, quando la Patrizio fu giudicata capace di intendere e volere. Il legale dell’imputata aveva sperato di riaprire la questione, con nuove perizie che però non sono riuscite a ribaltare il verdetto. La lucidità della donna è stata confermata e la condanna lo dimostra: omicidio volontario premeditato e aggravato. Il legale dell’imputata, Fabio Maggiorelli, ha contestato la sentenza giudicandola basata su una «perizia psichiatrica molto superficiale». Aggiungendo che il riconoscimento della capacità di intendere e di volere attribuita dai giudici all’infanticida farebbe a pugni con la realtà: Mary Patrizio sta scontando la sua pena in un ospedale psichiatrico, a Castiglione delle Stiviere. Arcore ha seguito la triste vicenda con sconcerto e interesse e ora nuove puntate si profilano all’orizzonte: «Vedremo cosa dirà la cassazione» ha commentato Fabio Maggiorelli dopo la sentenza.
Valeria Pinoia

Bellusco, giugno

Forbiciata al petto della ex
Cinque anni, di cui due in libertà vigilata, per una forbiciata sferrata al petto dell’ex fidanzata. Il tribunale di Monza ha condannato giovedì il 41enne F.D.M., di Sesto San Giovanni, accusato di tentato omicidio e maltrattamenti nei confronti di E.B., impiegata residente a Bellusco. L’uomo era finito sotto processo per un episodio successo il 3 giugno 2005. Si era presentato nel residence di fronte all’ospedale, dove la sua ex lavorava come addetta alla reception, aveva preso un paio di forbici dal tavolo dell’ingresso e le aveva conficcate nel torace della donna fino a far penetrare la punta per almeno due centimetri di profondità e bucarle un polmone. L’uomo era accusato di tentato omicidio e di maltrattamenti. Fra i due era appena terminata una convivenza in un appartamento della donna a Bellusco. Il loro rapporto si era chiuso dopo litigi, botte, atteggiamenti violenti da parte dell’uomo, in quel periodo «dedito all’alcol», come ha ricordato il pubblico ministero Flaminio Forieri nella sua requisitoria. Lui non si voleva rassegnare alla fine di quella relazione e perciò si era reso protagonista di pestaggi nei confronti di E.B. anche pochi giorni prima dell’accoltellamento. Uno è stato ricordato in aula giovedì da una testimone: «È successo in via Boito, ho visto quest’uomo picchiarla col casco da motociclista con una violenza incredibile; gli ho detto che era un ‘animale’ e che doveva smetterla, mi ha risposto che dovevo farmi i fatti miei». Nella sentenza è previsto anche l’obbligo di continuare a seguire un percorso di cura al Cps. L’imputato, che di fronte ai giudici ha ammesso tutto, è stato riconosciuto parzialmente incapace di intendere al momento del fatto. Dovrà pagare 5000 euro di risarcimento alla sua ex.
f. ber.

2006

Nova Milanese, marzo

Uccide la moglie a calci e pugni
Dieci anni e otto mesi di reclusione per aver picchiato a morte la moglie. È stato condannato nel primo pomeriggio di ieri Filippo Marconi, 67 anni, l’ex vigile del fuoco di Nova Milanese che, in preda a un raptus di follia, aveva massacrato Antonia Frappietri, pensionata 68enne con casa a Cusano. L’accusa era omicidio volontario, aggravato dalle modalità particolarmente efferate con cui il delitto era stato commesso. Il magistrato (l’udienza si è celebrata col rito abbreviato di fronte al giudice dell’udienza preliminare Alessandro Rossato) non ha riconosciuto tuttavia l’aggravante della crudeltà. Nella pronuncia, anzi, hanno avuto la prevalenza le attenuanti generiche. Alla fine, i calcoli effettuati in base al rito e alle attenuanti, hanno portato a una sentenza tutto sommato modesta, non condivisa dagli ambienti della procura di Monza. Per il magistrato, l’uomo, difeso dall’avvocato Stefania Fiorentini, avrebbe agito d’impeto, in preda a un improvviso quanto brutale raptus che non ha lasciato scampo ad Antonia Frappietri. Il gup ha quindi ridimensionato la richiesta formulata dalla pubblica accusa, sostenuta dal pubblico ministero Alessandro Pepè, che aveva chiesto una pena a 16 anni di reclusione. I fatti risalgono all’11 marzo di un anno fa. La poveretta venne uccisa dopo essere stata ripetutamente picchiata con calci e pugni. A provocare il decesso sarebbe stata una profonda ferita riscontrata dal medico legale dietro l’orecchio. Un colpo che la donna avrebbe ricevuto picchiando il capo contro lo spigolo di un mobile. Tra marito e moglie era scoppiato l’ennesimo litigio in occasione di un incontro fissato per pranzo: i due si erano separati nel 2001. Marconi, uomo dalla corporatura normale, si era trasferito a Nova Milanese, mentre la donna era rimasta a Cusano. Gli ex coniugi si erano ritrovati nell’appartamento di via Filzi per discutere di questioni irrisolte legate alla fine del loro matrimonio. Ma l’incontro era degenerato nel raptus omicida. È stato lo stesso imputato a chiedere di essere giudicato con il rito abbreviato in udienza preliminare. Ormai sembra che viva la detenzione con rassegnazione, consapevole di quel raptus che un anno fa non ha dato scampo all’ex compagna. Contro di lei infatti, l’ex pompiere aveva sfogato tutta la rabbia che aveva in corpo. A tormentare l’uomo ci sarebbe stata proprio quella relazione, già naufragata, che i due stavano faticosamente tentando di ricostruire. Un rapporto che viveva di dolorosi quanto inutili tentativi di riconciliazione, soprattutto avvenuti dopo un infarto che aveva colpito l’uomo. La vittima era infatti più cauta nel riavvicinarsi a una nuova, eventuale relazione. Dal marito, per esempio, avrebbe voluto più tempo e più libertà, prima di riavvicinarsi in modo definitivo. Nel dirlo, durante la discussione di quel drammatico 11 marzo, avrebbe usato anche dei toni duri. Dopo l’omicidio, l’uomo aveva chiamato il figlio.
Federico Berni

Desio, novembre

Nel negozio della ex con fucile a canne mozze
Ha aggredito e tentato di uccidere la ex moglie, sotto gli occhi dei clienti del negozio gestito dalla donna, in pieno centro. Giovedì mattina, intorno alle 9.30, l’uomo, 51 anni, originario di Melfi, uscito dal carcere due mesi fa con l’indulto, si è presentato in un negozio del centro. Ha estratto il fucile a canne mozze e lo ha puntato contro la donna, 49 anni, desiana, da cui si era separato da qualche mese. Lei ha reagito: i due si sono scontrati fisicamente e durante il violento litigio è partito un colpo dal fucile dell’uomo, che per fortuna era puntato a terra e dunque è finito sotto il bancone del negozio. La scena si è svolta sotto gli occhi dei clienti che nel frattempo erano entrati nel locale. L’uomo ha chiesto alla ex moglie di non denunciarlo e poi è fuggito, a bordo di una punto grigia. La donna, spinta dai figli, ha denunciato il fatto ai carabinieri, che si sono messi subito alla ricerca dell’aggressore, domiciliato a Cesano Maderno, in via Lario. Non lo hanno trovato in casa, ma in un bar di Seregno, in via Solferino, in compagnia di amici. E’ stato subito bloccato e portato a casa, dove i carabinieri hanno trovato il fucile calibro 16 e una cartuccia. L’uomo, che ha precedenti per reati contro la persona e il patrimonio, è stato arrestato per porto abusivo d’arma e denunciato per tentato omicidio. Non era la prima volta che aggrediva la ex moglie: qualche mese fa aveva tentato di investirla con la sua auto.
P.F.

Monza, dicembre

Soffoca la moglie dopo una lite
Confermato in Cassazione il carcere per Nazareno Caporali, l’uomo accusato di omicidio volontario premeditato in relazione alla morte della moglie Lorena Radice, avvenuta tra Natale e Santo Stefano del 2006. La decisione dei giudici della Suprema Corte è stata presa nel tardo pomeriggio di mercoledì scorso. I magistrati romani erano chiamati a pronunciarsi sul ricorso presentato dal difensore dell’uomo, l’avvocato Raffaele Della Valle, che aveva impugnato il provvedimento di agosto del tribunale della Libertà. I giudici del Riesame infatti avevano confermato l’ordinanza di custodia in carcere spiccata a luglio dal gip Susanna Lomazzi, in seguito alla quale Caporali era stato arrestato dopo sette mesi di indagini sulla morte della moglie. Si avvicinano nel frattempo i conti veri e propri con la giustizia, per il 46enne Caporali. Martedì prossimo è fissata la prima udienza preliminare di fronte al gup Licinia Petrella. L’uomo è accusato di aver soffocato la moglie nel cuore della notte, dopo una lite. Dopo avrebbe messo in scena il suicidio della donna, ritrovata la mattina dal figlio di 11 anni, stesa a letto, con un sacchetto calato sulla testa. Sullo stesso sacchetto, non sono state trovate tracce organiche della vittima, mentre sotto il letto c’erano tracce di altri sacchetti sporchi del sangue di Lorena. Caporali, però, ha sempre respinto nettamente l’accusa, ammettendo sì le difficoltà coniugali e la lite di Natale, ma sostenendo che quello della moglie è stato un drammatico suicidio.
f. ber.

2007

Muggiò, gennaio

Getta la figlioletta dal quarto piano
Interrogata martedì mattina la 19enne Adriana Oprea accusata di aver gettato dal quarto piano la figlia appena partorita. La ragazza avrebbe ammesso i fatti. Lo ha detto il procuratore capo di Monza, Antonio Pizzi, che coordina l’inchiesta con la collaborazione del sostituto Vincenzo Nicolini: “ha confessato, senza tuttavia dare spiegazioni razionali sull’accaduto”. Pizzi ha aggiunto che si tratta i fatti si sono svolti in modo “tragicamente banale”. La giovane ha partorito da sola, poi ha gettato la neonata dal balcone. Sembra confermata, insomma, la prima ricostruzione dei fatti raccolta dai carabinieri intervenuti nel condominio di via Mameli. La 19enne è indagata per omicidio volontario, secondo quanto fanno sapere dalla procura di piazza Garibaldi, e non per “infanticidio in condizioni di abbandono morale e materiale”, un’altra fattispecie prevista dal codice penale. A suo carico, tuttavia, la magistratura inquirente non ha preso provvedimenti restrittivi. Gli inquirenti non hanno ravvisato gli estremi per una misura cautelare (pericolo di fuga, per esempio, o reiterazione del reato). La ragazza è ricoverata all’ospedale San Gerardo. Di lei è stato dato il ritratto di una ragazzina ingenua, la cui maggiore età sarebbe soltanto un fatto anagrafico. Nonostante i 19 anni, insomma, sarebbe ancora molto immatura. Nessun sospetto, invece, sulla famiglia. I genitori sono stati descritti come persone per bene, lavoratori irreprensibili, pienamente integrati. L’indagata avrebbe agito spinta da chissà quale forma di paura personale, e non per qualche timore di pressioni esterne.
f. ber.

Cesate, febbraio

Uccide la madre a sprangate
E’ durato meno di 24 ore il giallo di Cesate, dove sabato sera Maria Rampinini, 66 anni, è stata trovata morta con la testa fracassata, nella sua abitazione di via Verdi. I carabinieri della compagnia di Rho e del reparto territoriale di Monza hanno sottoposto a fermo, domenica pomeriggio, con l’accusa di omicidio volontario il figlio della donna, Cristian Bianchi, 36 anni, noto tossicodipendente. L’uomo avrebbe ucciso a sprangate la madre al termine di una violenta lite, dopo che lei si era rifiutata di dargli dei soldi per comprarsi la droga. “Anche se non ha confessato, nei suoi confronti col passare delle ore sono emersi una serie di gravi indizi” dice il capitano Luca Necci, comandante della compagnia dei carabinieri di Rho. Ad incastrarlo sono state le testimonianze dei vicini di casa e le macchie di sangue della madre trovate sui suoi vestiti e sulle sue scarpe. Gli investigatori hanno subito escluso la rapina, considerate le modeste condizioni di vita della pensionata, e si sono invece concentrati nell’ambito famigliare della vittima. In particolare, i carabinieri si sono insospettiti del figlio minore Cristian, noto tossicodipendente, disoccupato. Lo hanno notato mentre si aggirava intorno all’abitazione, in cui viveva con la madre, qualche ora dopo l’omicidio, accaduto intorno alle 19. A dare l’allarme era stato invece il figlio maggiore, Flavio, 38 anni, che aveva trovato la madre riversa in una pozza di sangue. Cristian, al momento della scoperta del cadavere, non si trovava in casa, ma si era allontanato a bordo della sua auto. I vicini hanno però testimoniato di averlo visto intorno alle 19 mentre vagava in cortile. Un inquilino ha raccontato di aver sentito le urla provenire dalla casa della vittima, alle 19 di sabato sera, e poi il rumore di un oggetto metallico cadere per terra, seguito dall’uscita di casa di Cristian, che ha sbattuto la porta. Una vicina invece ha detto di aver incontrato l’uomo in cortile. “Mia mamma sta male” le ha detto. La donna ha tentato di salire in casa, ma lui l’ha fermata. “No, adesso sta meglio”, ha detto prima di allontanarsi. Altra prova inconfutabile sono state le macchie di sangue, inizialmente poco visibili perché l’uomo indossava un maglione rosso, dei pantaloni già abbastanza sporchi e delle scarpe rosse. Il delitto è stato definito “efferato” dagli inquirenti: l’uomo si è infatti accanito sulla madre con almeno 6 colpi di spranga, 4 alla fronte e 2 alla nuca. Interrogato per ore dai carabinieri alla presenza del pm Cecilia Vassena, Cristian Bianchi è stato infine sottoposto a fermo. Movente dell’omicidio: droga e soldi. La madre si è rifiutata di dargli nuovamente del denaro. Lui allora ha preso in mano un tubo di ferro e l’ha ammazzata.
P.F.

Varedo, marzo

Tenta di uccidere la suocera a coltellate
Ha tentato di uccidere la suocera a coltellate, sotto gli occhi della moglie. Per questo, al termine di un folle sabato pomeriggio, è stato arrestato, con l’accusa di tentato omicidio, ma anche di sequestro di persona e violazione di domicilio aggravata. Protagonista dell’episodio che poteva trasformarsi in una grave tragedia famigliare è un uomo di 33 anni, operaio, incensurato, residente a Pavia. Da tempo litigava con la moglie, 29 anni, impiegata. Tra i due i rapporti si erano via via deteriorati. Finchè la giovane donna ha deciso di lasciare il marito, con cui viveva a Pavia, per tornare dalla madre, che risiede Varedo. E così è stato. La ventinovenne si è trasferita in Brianza per ritrovare un po’ di quella tranquillità e serenità che aveva perso col tempo. Ma non aveva fatto i conti con l’ira e la furia del marito. D’altronde lui stesso, prima che la donna lo lasciasse, l’aveva minacciata: «Se torni dai tuoi parenti, li ammazzo tutti» le aveva detto. Parole a cui forse la donna non aveva dato il giusto peso. Ma l’uomo non scherzava. Sabato pomeriggio, poco prima delle 14, si è presentato a casa della suocera, in via Battisti, a Varedo. Ha aperto violentemente la porta dell’appartamento. E in preda ad un raptus d’ira, con in mano un coltello, si è diretto verso la suocera, una donna di 56 anni. L’ha colpita con violenza all’addome, lasciandola a terra in una pozza di sangue. Poi, con totale freddezza, si è rivolto verso la moglie, l’ha presa e l’ha trascinata sulla sua auto, una Seat Ibiza gialla. Ed è scappato a tutto gas, provocando stupore nei pochi passanti che a quell’ora si trovavano per strada. Qualcuno lo ha visto sfrecciare per le vie di Varedo, anche in contromano. Subito è stato dato l’allarme. Sul posto sono giunti gli operatori del 118 che hanno soccorso la donna sanguinante, portandola d’urgenza all’ospedale di Desio, dove è stata operata e dove è tuttora ricoverata, fuori pericolo di vita. Nel frattempo sono intervenuti i carabinieri che si sono messi a caccia del folle, cercandolo per tutta la Brianza. Inizialmente sembrava fosse diretto a Pavia, a casa sua. Invece l’operaio ha attraversato con la sua auto diverse città intorno a Varedo. Ad un certo punto, convinto dalla moglie che si trovava in macchina con lui, ha deciso di ritornare sui suoi passi: si è quindi ripresentato a Varedo, sul luogo del tentato omicidio. I carabinieri sono riusciti dunque ad ammanettarlo, al termine di una caccia durata oltre due ore. Su di lui pende l’accusa di tentato omicidio, violazione di domicilio e sequestro di persona. La moglie lo ha anche denunciato per violenza sessuale. La suocera, colpita a coltellate all’addome, se la caverà con una prognosi di dieci giorni.
P.F.

Solaro, giugno

Uccide la moglie e tenta di togliersi la vita
È stato dimesso dall’ospedale di Niguarda il 68enne Luigi Sanseverino, l’uomo rimasto in coma farmacologico dopo aver ucciso la moglie ed aver provato subito dopo a togliersi la vita. L’uomo è indagato a piede libero per l’omicidio della moglie Assunta, 66 anni. La vicenda risale a giugno scorso. A scoprire la scena era la figlia della coppia (tutti e due ex operai in pensione), che aveva trovato un biglietto scritto dal padre prima di compiere il folle gesto. Di fianco alla madre, che era gravemente malata, c’erano diverse scatole di farmaci vuote, ma le prime risultanze dell’esame autoptico avevano escluso l’ipotesi che a provocare la morte fosse stata un’ingestione forzata di medicinali. L’uomo avrebbe soffocato la moglie servendosi probabilmente di un oggetto; un lenzuolo, un asciugamano o dei vestiti. Dopodiché, forse in preda al rimorso per quello che aveva appena fatto, si è colpito con sette coltellate in varie parti del corpo dopo aver scritto il bilgietto. La procura attende gli esiti definitivi dell’autopsia per chiudere l’inchiesta; spetterà alla difesa del pensionato chiedere eventualmente la perizia psichiatrica.
f. ber.

Paderno Dugnano, ottobre

Insegue la convivente brandendo un martello
Non ha trovato la sua biancheria pulita al solito posto, nei cassetti dell’armadio. E ha dato in escandescenze. Ha inveito contro la convivente, riempiendola di insulti. Non contento, ha preso in mano un martello e ha iniziato ad inseguire per casa la donna, che nel frattempo tentava di fuggire. «Ti ammazzo» le ha gridato più volte, minacciando anche di spaccare tutto quello che trovava a portata di mano. Alla fine si è calmato, ma i carabinieri lo hanno prelevato dal suo appartamento e lo hanno portato direttamente in carcere, con due pesanti accuse: tentato omicidio e violenza sessuale aggravata. Protagonista del folle gesto è un uomo di 69 anni, M.V., pensionato, di origini siciliane, residente a Milano, ma domiciliato a Paderno Dugnano. Le violenze non sono una novità per la donna che convive da anni con lui, da cui ha avuto anche una figlia. In passato, infatti, la convivente lo aveva denunciato per maltrattamenti nei suoi confronti. Già processato, l’uomo era stato condannato a vivere sotto la stretta sorveglianza dei servizi sociali. Fino a qualche giorno fa andava tutto bene. Poi, improvvisamente, il pensionato è stato colto da una nuova furia, questa volta però più violenta rispetto al passato. La sua ira è scattata semplicemente perchè la convivente non gli aveva ancora lavato la biancheria e non l’aveva sistemata per bene al suo posto, nei cassetti dell’armadio. A quel punto lui non ci ha più visto. Ha iniziato a gridare e pretendere che mutande e calzini gli fossero consegnati al più presto. Poi ha preso in mano un martello trovato in casa e si è accanito contro la convivente, minacciandola più volte di morte. Non solo. In preda ad un raptus, secondo quanto poi la donna ha riferito alle forze dell’ordine, l’avrebbe anche violentata. Ad un certo punto lei, per fortuna, è riuscita a divincolarsi e a fuggire dall’estrema violenza dell’uomo. Si è quindi rifugiata nella caserma dei carabinieri, a cui ha spiegato quanto le era appena successo. E ha sporto un’altra denuncia nei confronti del convivente. A quel punto il provvedimento che in passato era stato preso per l’uomo, accusato di maltrattamenti in famiglia, è stato modificato. Anzichè tenerlo sotto sorveglianza dei servizi sociali, è stato deciso di condurlo in carcere, con l’accusa di tentato omicidio e violenza sessuale aggravata. I carabinieri sono andati a prenderlo venerdì notte, mentre dormiva tranquillamente in casa sua. L’uomo è stato quindi prelevato e portato direttamente dietro le sbarre.
P.F.

Monza, novembre

Lite per l’arrosto, imbraccia il fucile e spara
Una lite sull’arrosto bruciato, che poteva trasformarsi in tragedia. E’ successo martedì in una vecchia casa di corte di via Cimabue, nel quartiere San Donato. In manette con l’accusa di tentato omicidio Ermanno Citelli, 61 anni, ex meccanico dell’azienda dei trasporti pubblici in pensione. ‘Ha fatto bene quel tizio che ha sparato al figlio’, ha detto l’uomo in riferimento all’omicidio di domenica a San Fruttuoso, prima di imbracciare un fucile da caccia e sparare un colpo che per un soffio non ha centrato il figlio minore, il 32enne Stefano. Tutto ha avuto inizio all’ora di pranzo, quando tra moglie e marito è nato un diverbio per semplici questioni domestiche. L’uomo avrebbe iniziato ad inveire pesantemente sulla moglie Vanna, e a quel punto sarebbe intervenuto in sua difesa il ragazzo, minore di due fratelli, l’ultimo rimasto a vivere in casa con i suoi. Il raptus di follia ha spinto Ermanno Citelli ad aprire un armadio chiuso a chiave e a estrarre un fucile del quale i familiari non sapevano nulla. Intanto madre e figlio si sono rifugiato in camera da letto, dove il ragazzo ha chiamato il 112. Citelli intanto si era seduto sul divano col fucile spianato. Il ragazzo era già riuscito a far uscire la mamma, ma appena prima di mettersi in salvo, il padre ha sparato, mancando fortunatamente il bersaglio. Il colpo ha bucato la porta. Sul posto sono arrivati i carabinieri che hanno arrestato il pensionato con l’accusa di tentato omicidio e detenzione illegale di armi. Oltre al fucile da caccia con cui ha esploso il colpo, non regolarmente denunciato, Citelli aveva in casa un altro fucile calibro 22 ‘irregolare’ e un’infinità di pugnali e coltelli da caccia. Diciassette anni fa, l’uomo era finito nei guai per un aggressione ai danni di un altro figlio, che avrebbe cercato di colpire con un ascia. I vicini di casa hanno riferito di continue intemperanze dell’uomo tra le mura domestiche.
f. ber.

Monza, dicembre

Uccide la moglie a fucilate e tenta il suicidio
Migliorano le condizioni del 68enne Mario Corapi, il pensionato che la notte fra giovedì e venerdì scorsi ha ucciso la moglie Elena Tropea a fucilate dopo un litigio, e ha provato a togliersi la vita sparandosi con un’altra arma. I medici del San Gerardo, dove era stato operato con la massima urgenza venerdì mattina, sono riusciti a salvargli la vita. La tragedia è avvenuta nell’appartamento in cui i due, lui operaio Falck in pensione, lei casalinga, impegnata in lavori saltuari nelle case del vicinato, vivevano da decenni immigrati dalla Calabria: un trilocale nelle palazzine Aler al civico 25 di via Pellegrini, tra i rioni popolari di Cederna e Cantalupo. I primi ad insospettirsi, venerdì mattina, sono stati i vicini di casa, che non hanno visto le tapparelle dell’appartamento del primo piano alzarsi come ogni mattina. ‘Abbiamo provato a chiamare al telefono di casa e al cellulare di lui, ma non rispondeva nessuno’, hanno detto i condomini, ‘allora abbiamo chiamato il 112’. Vigili del fuoco e carabinieri hanno forzato una delle finestre, e si sono trovati davanti ad una scena drammatica. Il corpo di Elena Tropea era riverso faccia a terra in una delle due camere. La donna, originaria di Soverato, in provincia di Catanzaro, è stata raggiunta da tre colpi sparati dal fucile da caccia del marito: colpita al collo (il colpo mortale, come ha chiarito l’autopsia), al gluteo e al basso ventre. L’omicidio dovrebbe essere stato commesso verso mezzanotte e mezza. Forse aveva bevuto troppo, circostanza che i carabinieri devono ancora chiarire. A quell’ora i vicini di casa hanno sentito dei rumori provenire dall’appartamento, ma devono aver pensato ad un litigio, cosa che ultimamente avveniva spesso fra i due. L’inquilino del piano superiore, compagno di caccia di Mario Corapi, era andato a dormire, e perciò si era tolto l’apparecchio acustico che porta normalmente all’orecchio. In realtà i carabinieri hanno trovato i resti di tredici bossoli. Ancora da chiarire l’ora del tentato suicidio. Di sicuro Corapi, nato a San Sostene, sempre nel catanzarese, ha cambiato fucile. Si è rivolto la canna lungo il corpo e con un filo ed un cucchiaio di legno collegato al grilletto, ha rivolto contro di sé una scarica di pallini. Dopo vari tentativi andati a vuoto, è riuscito a ferirsi gravemente L’uomo è stato trovato alle nove e mezza del mattino circa, disteso a letto in una pozza di sangue, con un evidente ferita allo stomaco e bruciature sul volto, ancora cosciente. Lunedì il gip Anontella Nazzaro ha convalidato l’arresto dell’uomo, disponendo la custodia in carcere non appena le sue condizioni di salute gli permettano di lasciare l’ospedale, dove è ai domiciliari. L’avvocato Massimo Bordon, che assiste l’uomo, si riserva di fare ricorso contro la decisione del gip solo ‘dopo aver letto con attenzione l’ordinanza’. I funerali si svolgeranno oggi nella parrocchia del Cederna
Federico Berni

2008

Solaro, gennaio

Lei vuole separarsi, lui l’accoltella a morte
Le vere vittime di una tragedia forse annunciata sono e saranno sempre i tre figli della coppia. L’efferato omicidio di venerdì scorso a Garbagnate ha molto scosso anche alcuni ambienti solaresi proprio per via del coinvolgimento dei bambini. Uno dei tre, è giocatore con profitto di una formazione dell’Universal Solaro, il che coinvolge ancor più la cittadina nei fatti accaduti a Garbagnate. I tre ragazzi, fra gli 11 e i 6 anni, hanno dato l’addio alla propria mamma, senza neanche saperlo, in una giornata già di per se movimentata e tragica. La donna, Barbara Belotti di 32 anni, aveva infatti deciso, dopo ripetute liti con il marito, Amerigo Maira 34enne con precedenti penali e con problemi di droga, di chiedere la separazione. Una settimana prima aveva presentato denuncia ai Carabinieri della locale stazione per tutte le violenze subite e il mattino di venerdì scorso era stata invitata dagli uomini dell’arma a recarsi in caserma, insieme con i tre figli. Quando la donna, verso le 15, è tornata a casa per prendere dei vestiti, fortunatamente i ragazzi sono rimasti in caserma aspettando l’arrivo della nonna. La signora Barbara giunta nell’abitazione di via Kennedy ha trovato il marito ad attenderla. L’uomo, messo davanti all’eventualità di una separazione, si è nuovamente abbandonato alla violenza. La donna è riuscita a chiamare i Carabinieri, ma nel momento in cui il signor Maira ha avuto sentore dell’arrivo dei militari ha afferrato un coltello da cucina e ha ferito mortalmente, con un unico colpo, la moglie. L’uomo, che sotto Natale era stato anche oggetto di un trattamento sanitario obbligatorio per problemi di dipendenza da stupefacenti, è stato trovato sul posto, arrestato ed accusato di omicidio volontario.
Diego Marturano

Giussano, febbraio

"Lo odiavo, l’ho ucciso": sei colpi all’ex marito
«Lo odiavo, l’ho ucciso». Non avrebbe omesso alcun dettaglio, Graziella Cristello, la 41enne segretaria d’azienda giussanese che, lunedì mattina, ha confessato ai carabinieri della stazione di via Prealpi l’omicidio dell’ex marito Roberto Mariani, 44 anni, ucciso con sei colpi di revolver in un parcheggio di Mariano Comense. Madre di un figlio di vent’anni, divorziata da otto, la giovane donna è attualmente rinchiusa nel carcere comasco del Bassone, dove aspetta di essere nuovamente interrogata dal giudice preliminare che, forse già oggi, ne convaliderà l’arresto. Il pm Valentina Mondovì le muove, per il momento, un’accusa di omicidio volontario, senza aggravanti particolari anche se è chiaro che molto dipenderà dal prosieguo delle indagini. Intanto, oggi si svolgerà l’autopsia sul corpo di Roberto Mariani: i funerali si svolgeranno a Seregno, forse già domani. L’uomo è stato freddato mentre si stava recando al lavoro, un centro estetico di Mariano. Dopo gli spari, Graziella Cristello si recata in caserma a Giussano e si è costituita. Pare che tra marito e moglie i rapporti fossero tesissimi da anni: la goccia che avrebbe fatto scatenato la furia omicida, dissapori sul futuro lavorativo del figlio.
Antonella Crippa

Vedano al Lambro, aprile

Litigio per denaro, accoltella il cognato
Soldi e parenti costretti ad una convivenza forzata. Sono i due elementi che fanno da sfondo alla vicenda che ha visto Luigi Ambrogio Cazzaniga, 59 anni, ex infermiere in pensione, prendere in mano il coltello e infilarlo nell’addome del cognato, il 61enne Marco Pirola, anche lui pensionato, ex operaio. Il litigio culminato in tentato omicidio risale a martedì sera, all’interno di un appartamento di via XXIV Maggio, in un condominio di due palazzine di sette piani ciascuna. La lite è scoppiata verso mezzanotte, al secondo piano del civico 8. In casa c’erano l’aggressore, il ferito, e la moglie di quest’ultimo. A scatenare il tutto sono state questioni economiche. Cazzaniga, secondo quanto hanno ricostruito i carabinieri di Monza, era stufo di continue richieste di denaro da parte di cognato e sorella. I tre vivevano assieme da qualche anno. In questo periodo, a detta dell’aggressore, sarebbero state molte le richieste di soldi da parte dei parenti, sia per questioni spicciole, che per motivi più importanti come le spese per l’affitto, al punto che l’uomo avrebbe venduto la casa per trasferirsi da loro. Martedì sera i due avrebbero avanzato la pretesa di altri quattrini per acquistare le scarpine ortopediche della loro nipotina, ma il 59enne Cazzaniga non ne voleva sapere. Diceva di essere stufo di mantenere la loro famiglia e che di denaro ne aveva già speso abbastanza. La discussione si stava svolgendo attorno al tavolo della cucina. I toni sono saliti tanto che Cazzaniga ha afferrato un coltello con 22 centimetri di lama e ha colpito Pirola con un violento fendente all’addome. A chiamare il 118 è stata la sorella dell’aggressore, visibilmente sotto shock per quanto stava succedendo. Sul posto si è precipitata l’ambulanza inviata dal vicino ospedale San Gerardo. All’arrivo del personale medico, Pirola era a terra che grondava sangue. E’ stato ricoverato in prognosi riservata. Assieme all’ambulanza, sono arrivati anche i carabinieri del nucleo radiomobile di Monza, che hanno arresto Cazzaniga con l’accusa di tentato omicidio e lo hanno portato al carcere di Monza, a disposizione dell’autorità giudiziaria. L’uomo si è consegnato ai carabinieri senza opporre resistenza. Del caso si occuperà il sostituto procuratore Alessandro Pepè della procura di Monza.
Federico Berni

Muggiò, giugno

Strangola la compagna e la mura in soffitta
È in carcere dopo la convalida del fermo, e aspetta di essere interrogato dal pm, il 48enne Luigi Gennaro, l’autista dell’azienda dei trasporti monzese accusato di omicidio volontario ed occultamento di cadavere in relazione alla morte della sua compagna, la peruviana Dania Leon, di quindici anni più giovane. L’autista venerdì scorso ha strangolato la donna, poi ha cercato senza riuscirci di disfarsi del corpo utilizzando l’acido, e poi ha murato il corpo in un intercapedine in soffitta nella casa di via Cottolengo a Velate, quella che l’uomo stava ristrutturando, e in cui avrebbero dovuto andare a vivere assieme col loro figlio di 4 anni. Il pm Alessandro Pepè non ha ancora dato il nulla osta per i funerali, dal momento che gli accertamenti medico legali sul cadavere della sudamericana non sono finiti. Secondo la ricostruzione sino ad ora più accreditata, Gennaro l’ha strangolata cingendole con forza il braccio attorno al collo. Altri accertamenti, comunque, verranno effettuati sui polmoni della malcapitata, per escludere che, magari ancora in fin di vita, possa aver inalato dell’acido. Gennaro ha detto di essere stato aggredito con un coltello, e di essersi dunque difeso. Su una mano presenterebbe infatti dei tagli, ma la sua tesi è al vaglio degli inquirenti della procura di Monza. Altre indagini sono in corso per passare al setaccio la vita privata e familiare di Gennaro, che aveva avuto già due figlie da un primo matrimonio. Lo scopo è ricostruire la personalità dell’uomo, capire se avesse o meno una personalità irascibile o più fredda. Stupore, intanto, sul posto di lavoro dell’uomo: ‘lo abbiamo saputo attraverso notiziari e giornali, e stentavamo davvero a crederci’, dicono increduli i colleghi della Tpm, dallo stabilimento di via Borgazzi. ‘Si è sempre comportato in modo ineccepibile, sul lavoro non saltava mai un turno, un faticatore, una volta si ruppe una gamba e chiese il rientro anticipato, perché era uno che con le mani in mano non ci sapeva stare’. E infatti, oltre al lavoro di autista, ristrutturava appartamenti in proprio e poi li rivendeva. Un attività con cui era riuscito a conquistare anche un buon tenore di vita. A quanto dicono i colleghi, non amava fare trapelare molto della sua vita privata. ‘Che fosse geloso della moglie proprio non lo sappiamo; di sicuro era geloso della sua sfera personale, cosa di cui non parlava molto, era riservato, qui, per via della rotazione dei turni, ci si incontra e poi non ci si vede per giorni’. L’uomo prestava servizio nell’azienda dei trasporti da almeno sedici anni, dove si era anche tesserato nelle fila della Cisl. Come confermano anche i dirigenti della Tpm, si è sempre comportato come un lavoratore, ed un uomo al di sopra di ogni sospetto. ‘Lo vedevamo in compagnia della moglie, sembravano una famiglia come tante’.
f. ber.

2009

Varedo, gennaio

Picchia la moglie e la cosparge di acido
Ha picchiato la moglie fino a romperle il setto nasale. L’ha riempita di botte e per concludere l’opera, l’ha cosparsa di acido solforico. La donna è finita in ospedale, con 30 giorni di prognosi. Lui, a qualche giorno di distanza dall’aggressione, è finito in carcere, con l’accusa di tentato omicidio. Nel mirino dell’uomo, D.N., un serbo di 54 anni residente in città, già conosciuto dalle forze dell’ordine, c’era anche l’amico della moglie, un desiano di 45 anni, anche lui finito in ospedale, perché preso violentemente a botte dallo straniero. La feroce aggressione è accaduta sull’autostrada A1, all’altezza di Parma, il giorno dell’Epifania. Il serbo, a bordo della sua auto, ha affiancato il mezzo su cui viaggiava la moglie, 48 anni, anche lei serba, insieme ad un amico italiano. Le due auto hanno proseguito la corsa una a fianco dell’altra, finchè il marito geloso ha speronato il mezzo della moglie. L’urto è stato violento e l’auto condotta dalla donna, dopo aver fatto un testa coda, è finita fuori strada. Lo straniero, visibilmente fuori di sé, ha raggiunto la coppia e ha iniziato ad aggredire prima lei, poi lui. I due hanno tentato di difendersi, ma su tutti ha prevalso la furia dell’uomo, che ha agito senza scrupoli, in preda all’ira. Il serbo ha afferrato la moglie e più volte le ha sbattuto la testa a terra. I suoi colpi sono stati talmente violenti che è riuscito a rompere il setto nasale alla donna, già invalida civile. Poi, non contento, l’uomo ha estratto una confezione di acido muriatico e l’ha gettata addosso sia a lei che a lui. Sono stati alcuni passanti a notare la situazione e ad intervenire, per bloccare lo straniero. Sul posto è arrivata una pattuglia della polizia stradale. Il serbo è stato quindi fermato e denunciato, mentre la moglie e l’amico sono stati portati in ospedale, dove sono stati medicati e giudicati guaribili in 30 giorni. La donna, una volta rientrata a Varedo, si è recata al comando dei carabinieri, per sporgere denuncia. A quanto pare, non sarebbe stata la prima volta che subiva violenze da parte del marito. Per questo, i carabinieri della locale stazione hanno inoltrato al giudice la richiesta di ordinanza di custodia cautelare. E qualche giorno fa, il magistrato ha emesso l’ordinanza. Le forze dell’ordine hanno quindi rintracciato il serbo, che nel frattempo si era trasferito a Milano: l’uomo è stato ammanettato e portato nel carcere di Monza.

Monza, gennaio

Ruggini per motivi finanziari, uccide il cugino nel senese
Potrebbe chiedere una perizia psichiatrica la difesa di Carlo Galante, l’uomo reo confesso dell’omicidio del cugino Walter, 55 anni, nato e cresciuto a Monza, trasferitosi prima in Liguria, poi in Toscana. La decisione di sottoporre l’assassino a perizia stata annunciata nei giorni scorsi dal suo avvocato, che punta almeno a dimostrare la seminfermità mentale del suo assistito. Il fatto di sangue in cui è rimasto vittima il brianzolo risale ad un paio di settimane fa nelle campagne senesi. E’ lì infatti che la vittima aveva aperto un agriturismo, dopo essere stato gestore di un albergo a Sanremo, e poi titolare di una farmacia, sempre nella località del ponente ligure. L’omicida era partito verso la Toscana portando con sé la pistola, elemento che potrebbe costargli anche l’aggravante della premeditazione. Tra i due sembra fossero sorte ruggini per motivi finanziari. Il killer infatti avrebbe chiesto un prestito negato dal cugino. Quest’ultimo, in passato, aveva avuto problemi finanziari, ma era riuscito ad uscirne, a differenza del suo familiare. L’abitazione dell’omicida è stata perquisita dai carabinieri. I militari hanno trovato all’interno una carabina, mentre l’uomo è stato freddato con una Beretta calibro 7,65. Nato a Monza, la sua famiglia risiedeva in zona Rondò di Pini. Aveva frequentato le scuole superiori al Collegio Villoresi, dove oltre a distinguersi nello studio, era famoso per le sue doti atletiche, in particolare di velocista. Ancora attoniti i suoi vecchi amici per la tragica sorte toccata al loro ex compagno di classe.
f. ber.

Lissone, marzo

Padre uccide il figlio affetto da problemi psichiatrici
Giuseppe Raimondo, 37 anni, residente in città, è morto martedì scorso, ucciso da due colpi di fucile sparati dal padre Vincenzo, 77 anni. Una tragedia famigliare avvenuta a Campli, in Abruzzo, dove vivono gli anziani genitori della vittima. Raimondo, vigile urbano in servizio a Mariano Comense, era malato da tempo ed era in cura al reparto di psichiatria dell’ospedale di Teramo. Probabilmente il padre non ce l’ha più fatta a vederlo in quello stato. Martedì mattina, poco prima delle 8, ha imbracciato la sua carabina calibro 12 e ha sparato due colpi al figlio, mentre stava ancora dormendo. Il primo colpo al petto lo ha svegliato di soprassalto, il second, diretto in faccia, lo ha ucciso. Nell’appartamento, in quel momento, c’era la madre Maria Teresa Caporale, trovata poi sotto choc da soccorritori e inquirenti accorsi sul luogo del delitto, chiamati dai vicini che hanno sentito i colpi di fucile. Il padre, dopo aver sparato, è uscito dall’abitazione. I carabinieri lo hanno trovato poco dopo, mentre vagava per il paese, in stato confusionale. Portato in caserma, è stato arrestato per omicidio volontario aggravato e trasferito nel carcere di Castrogno. La detenzione del fucile è risultata irregolare, perché anche se denunciato regolarmente, non avrebbe potuto essere portato a Campli, dalla Sicilia, luogo di origine della coppia di anziani. Giuseppe Raimondo viveva in Brianza ma appena poteva andava a fare visita ai genitori. Da tempo era in cura per problemi psichici. Una volta sarebbe stato anche sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio. La famiglia ha sempre rifiutato qualsiasi aiuto da parte dell’assistenza sociale. Finchè il padre, probabilmente in preda allo sconforto, non ha deciso di porre fine alle sofferenze del figlio, per evitare che diventasse pericoloso, come lui stesso avrebbe raccontato.
Paola Farina