Monza – Puoi farla facile e pensare che in fondo si tratta soltanto di mettere dei cereali maltati a bollire nell’acqua. Poi aggiungi luppolo e lo fai fermentare. Un mese e la birra è lì che ti aspetta. Già: la fai facile. Poi ci sono loro, i produttori artigianali italiani, che in una manciata di anni sono stati in grado di trasformare il Belpaese in una nuova patria della birra di qualità. Roba che adesso, in ogni angolo d’Italia, ne puoi bere di ottima. E non ha niente da spartire con quella industriale.
Sono loro, i produttori artigianali, quelli che si sono dati appuntamento all’edizione bis dell’Italia beer festival, lo scorso weekend al Brianteo. Per chi non c’era, ecco un viaggio nella genesi della birra di qualità. Perché dietro le quinte della spina e dell’etichetta ci sono lavoro e palato, quello che ti permette di fare il prodotto unico. Una ricetta, ecco, la ricetta: i mastri birrai italiani ne parlano come farebbe un alchimista. Perché il procedimento è quello, gli ingredienti più o meno quelli, le macchine più o meno quelle. Ma il segreto e quanto e come di ciascuno.
Ne sa qualcosa Pietro Fontana, “Piccolo opificio brassicolo Fermentum” (perché è uno cui piace farla complicata, e qui trovate tutte le sue etichette), quello che ha inventato la birra del Carrobiolo, a Monza. Un passo alla volta, dunque. Il primo si chiama macinatura (1): bisogna prendere i cereali, maltati oppure no, e macinarli. Sì, facile, se non fosse che i cereali devi sceglierli, vanno bene quasi tutti, purché di qualità. Lui fa anche una birra con una quantità enorme di farro, ed è farro fatto in Brianza.
Secondo passo (2): la cotta. Che sa già di innamoramento, ma è proprio una cottura (per infusione o decozione): lì si forma il mosto studiando e scegliendo le temperature, due ore o due ore e mezza di borborigmi, tra i 60 e i 79 gradi. Che finisce con la filtrazione per togliere le trebbie, per pulire tutto, e serve un’altra ora e mezza. Passo numero tre: bollitura, altri novanta minuti, una partita di calcio con il luppolo (3) che adesso entra nella futura birra e le regala il suo amaro. Intanto verifichi acidità e densità, che sono la chiave di quel che sarà.
Al quarto passo hai già aspettato che tutto si sia raffreddato e sia finito nei fermentatori insieme al lievito (4): ci vuole un mesetto perché tutto sia finito, controllando nel frattempo la lenta digestione finché sì, è il suo momento, quello di passare tutto in bottiglia e metterci nome, cognome e firma (5). È sempre così, ed è sempre diverso. Con la ricetta nel cuore e sapere che quando se ne inventa una nuova sai dove parti e sai dove vuoi andare a finire: «E a me è andata bene – racconta Fontana – quasi sempre buona la prima». Questione di tecnica, orecchio ed esperienza.
Massimiliano Rossin