Ci sono segni impossibili da non riconoscere. Ci sono percorsi già tracciati, ancor prima di essere intrapresi. Non può che essere così per quanto, oggi, fa l’associazione sostenitori Ospedale Santa Gemma Tanzania. Ma andiamo passo dopo passo. O meglio, “pole pole”, piano piano in lingua swahili, visto che l’Africa è la meta di questa, bella, storia. La onlus Osgt muove i primi passi a Monza nel 2008, da un gruppo di amici, fedeli (ed ecco il primo segno, ndr) della parrocchia di Santa Gemma. Quando il parroco di allora invita la comunità a trovare un progetto da sostenere in occasione della Pasqua, la strada di quei parrocchiani si incrocia con quella dei Passionisti di Lucca, (secondo segno, ndr), il cui convento venne intitolato a Santa Gemma Galgani (morta nel 1903, il corpo è sepolto sull’altare). Fu infatti proprio la religiosa a profetizzare la costruzione del luogo di culto. Da Lucca alla Tanzania, nel mezzo una santa così, il passo è breve.
La parrocchia monzese entra in contatto con le suore tanzaniane di Santa Gemma: una congregazione portata negli anni 40, nell’allora Tanganica, proprio da un passionista e rappresentata interamente da suore africane. Ed è da qui che il gruppo di fedeli rivolge le attenzioni all’ospedale di Dodoma, che, guarda un po’, si chiama Santa Gemma. E qui, le strade intraprese, trovano naturalmente la loro meta. Direttore di quel nosocomio è suor Gemma (tutto sembra compiersi, ndr) Mkondoo, medico e anima dell’hospital. Quando i parrocchiani monzesi arrivano a lei, la religiosa è alle prese con la necessità di avere in loco un laboratorio analisi. A Dodoma non c’è e i prelievi di sangue vanno mandati a 600 chilometri di distanza. Un’assurdità. La parrocchia di Santa Gemma viene a conoscenza di tutto questo in quella famosa Pasqua: il Natale successivo i monzesi hanno già raccolto 80mila euro. I bisogni dell’ospedale sono infiniti: servono altri reparti, serve una sala operatoria degna di questo nome, serve una scuola per infermieri e il relativo convitto. Così, da allora, quei parrocchiani monzesi non si sono più fermati, forti di tante strade, dunque, con un unico filo conduttore, che si sono incrociate e mai più separate, tanto che quel gruppo di amici decide di diventare onlus già nel 2009, ben oltre quel progetto per la quaresima.
Daniele Scandellari, con la moglie Anna Antonietti, sono ancora oggi, con il supporto di altri amici, il motore dell’associazione, che non ha mai rallentato il suo impegno per la Tanzania e per suor Gemma. E oggi, a un passo dai dieci anni di attività, in mezzo tanti traguardi raggiunti nel desiderio rendere sempre più efficiente l’ospedale, la onlus mette in campo più progetti in contemporanea. Un po’ perché i bisogni sono sempre tanti, e gli aiuti non bastano mai, un po’ perché l’entusiasmo è sempre quello del primo giorno. Soprattutto, però, c’è sempre quella suor Gemma, che è un vulcano. Di esempi ve ne sarebbero tanti. Uno su tutti, a dimostrazione di quanto fatto. L’ospedale di Dodoma (all’inizio era ancora meno di un ospedale, un semplice centro di salute) nacque con 40 posti letto. Oggi ne conta 110, con medici di diverse specializzazioni. Trenta le religiose della congregazione di Santa Gemma, 50 i civili ospedalieri. Suor Gemma Kitiku Mkoondo non conosce imprese impossibili. E la sua forza sta anche nel riuscire a coinvolgere altri. La sua storia inizia quando é infermiera in un dispensario. Qui capisce che, per salvare più pazienti, deve studiare medicina. Così arriva in Italia e nel 2000 si laurea. In modo così rapido e brillante che tutto sembra, ancora una volta, già definito. La sua laurea è tutto in un paese dove c’è un medico ogni 12mila persone. Anche tornata in Africa, il legame della religiosa con l’Italia non si arresta. Anzi, si alimenta di nuovi segni. E dall’Italia continuano ad arrivare aiuti provvidenziali. Oggi suor Gemma ha 62 anni.
Attualmente la struttura medica dà assistenza a più di 35.000 persone all’anno, in maggior parte poveri che non sono in grado di pagarsi le cure mediche e che si trovano soli e abbandonati ad affrontare malattie come malaria e Aids. Le consorelle si occupano persino della coltivazione del granoturco, anche per sostenere l’ospedale. E lo fanno nel poco tempo libero che il ruolo di assistenti sanitarie lascia loro. L’ospedale è una struttura fondamentale. È sufficiente pensare che nel nosocomio c’è l’unico ecografo funzionante in tutta la regione. Una vera e propria ancora di salvezza per gli abitanti di un paese dove la durata media della vita è di circa 50 anni e dove il tasso di mortalità infantile è altissimo.
E ancora oggi l’Osgt onlus è impegnata nella casa di accoglienza per partorienti, nell’avviamento dei reparti di odontoiatria e di oculistica, per una stabile connessione alla rete informatica, anche nell’ottica di consulenze sanitarie a distanza, nel completamento del laboratorio per la riparazione degli apparati elettromedicali e sanitari, per il continuo riassortimento di materiale sanitario e in fondamentali borse di studio per la formazione del personale medico, paramedico e infermieristico. Oggi i progetti che più stanno a cuore a Daniele, Anna e a tutti gli altri amici monzesi sono legati al reparto di endoscopia, all’anemia falciforme e alla fibra ottica.
Ci sarebbero ancora tante altre cose. In realtà, viene in mente una dimenticanza: quel passionista che avviò l’ordine religioso femminile nell’allora Tanganica, Stanislao Ambrosini dell’Addolorata, studiò a Monza. Fu infatti studente del liceo classico Zucchi prima di portare la sua missione nel cuore dell’Africa. Ma che questa storia sembra stata scritta prima ancora del suo inizio, ve lo abbiamo già detto, vero? Oggi tutto torna. E il futuro, siamo certi, riserverà altri segni. Da Monza a Dodoma. E viceversa. In quello stupore del bene. (Info su progetti e onlus www.ospedalesantagemmatanzania.org).