Succede di crescere in una famiglia che inizia i viaggi con quel “lunga e diritta correva la strada”, che solo dopo si capisce cosa vuol dire. Succede di ascoltare fin da piccoli i De André, gli Jannacci, i Guccini (e via così) e di arrivare a una certa età – più o meno all’inizio della scuola media – in crisi di rigetto: “cheppalle”, si pensa. Succede poi, non molto tempo dopo, di mettersi ad ascoltare le parole, a scoprire e a capire le parole. E di trovare la scintilla.
Succede quindi che la notizia che “L’ultima Thule” sia l’ultimo album di Francesco Guccini, nel senso che non ha in programma di farne ancora, faccia traballare. Però è così: Francesco Guccini si è ritirato dal mondo della musica. Continuerà a scrivere libri, a vivere a Pavana. Ma basta dischi, basta. L’ha detto alla presentazione del disco, alla fine di novembre, l’ha ripetuto con convinzione a quanti gli hanno rifatto la domanda (l’ultima lunedì sera su Raitre da Fabio Fazio). Se sarà, saranno solo collaborazioni.
«L’avevo pensata così già dopo l’album “Radici” del 1972, perchè non pensavo di continuare la carriera di cantautore – ha raccontato alla presentazione – È sempre più difficile fare canzoni: un tempo mi venivano con maggiore facilità. Le cose che volevo dire le ho già dette, quella voglia che avevo si è esaurita, non dico che non faccio più nulla, non escludo di fare concerti, di certo c’è che continuerò a scrivere romanzi, per me è più comodo ed ho ancora tante cose da dire».
Nell’Ultima Thule ci sono otto canzoni inedite, registrate nel mulino dei nonni a Pavana. Un viaggio nei luoghi d’infanzia introdotto da un’altra Canzone di notte, la numero 4 della produzione gucciniana. «È la prima canzone che ho scritto di questo album: una notte pavanese piena di situazioni e di ricordi fra la voce del fiume Limentra in fondo alla valle e il rombo di un camion lungo la statale. Una canzone che si rifà, in parte, alla mia infanzia trascorsa nel mulino dei miei nonni. È in questo posto magico che, non a caso, abbiamo registrato».
Ed è anche un bilancio personale raccontato nell’Ultima volta, in Notti, nell’Ultima Thule. “Su in collina” è invece una traduzione letterale di una poesia in dialetto di Gastone Vandelli e racconta di Resistenza e dell’uccisione di partigiano. Per mettere l’accento sulla storia italiana. E su un disco “gucciniano” per definizione fatto di grandi storie da raccontare, dell’importanza delle parole e dei riferimenti.
Così l’anfesibena dell’Ultima Thule mutuata dal Manuale di zoologia fantastica di Borges (che è un serpente a due teste che c’era già in Dante) va ad affiancare l’indù in latta di una scatola di té (Autogrill), più o meno tutto Metropolis del 1981, le Silvie beffeggianti (Un altro giorno è andato), il Bertoncelli dell’Avvelenata e pure la stessa Thule. Per costringere chi ascolta allo stesso lavoro di ricerca, così bello per avere tutto un po’ più chiaro.
Ma non è mica tutto saluti e nostalgia. Perché va bene che il “maestrone” ha scelto di vivere in montagna, si definisce pigro (tanto da aver usato sui manifesti dei concerti sempre una sola foto scattata negli anni ’70) e dice di rifuggere la tecnologia. La lavorazione del disco è stata documentata da filmati pubblicati sul canale Youtube del cantautore e che con l’inizio del 2013 diventeranno un film. In scena la combriccola con Ellade Bandini (batteria), Juan Carlos “Flaco” Biondini (chitarre), Roberto Manuzzi (tastiere e fiati), Antonio Marangolo (sax e percussioni), Vince Tempera (pianoforte) e Pierluigi Mingotti (basso) riunita a quasi nove anni dall’album precedente (“Ritratti” del 2004). Per Guccini è il diciassettesimo lavoro di studio in una carriera iniziata nel 1967.
Intanto l’Ultima Thule (e il suo veliero in copertina fotografato da Luca Bracali tra i ghiacci polari all’80° parallelo) viaggiano nei primi posti dei dischi più comprati su iTunes. Mentre il pubblico si alza in piedi per cantare La locomotiva.
Chiara Pederzoli