Enrico Crippa tra i re della guida:seconda stella per il caratese

Enrico Crippa tra i re della guida:seconda stella per il caratese

Carate Brianza – Fra stelle di casa e stelle esportate: il successo della Brianza ai fornelli si misura anche in Piemonte, dove lo chef Enrico Crippa, caratese, appena 38enne, si è visto aggiudicare la seconda stella Michelin in una manciata di anni. Se l’è meritata al ristorante Piazza Duomo di Alba, provincia di Cuneo, di cui ha preso le redini soltanto tre anni fa, nel 2006.

Il conto è facile, per intendersi: sono meno di quaranta i ristoranti in tutta Italia a meritarsi altrettanto. Lui, da quest’anno, c’è. Il ristorante è nato proprio allora, quando Crippa è arrivato, voluto dalla famiglia Ceretto, stirpe di Barolo. Lui, figlio di Brianza con un piede nel monzese e uno nelle cucine lecchesi della Viganò di Pierino Penati, ha una parola pronta per tagliare corto. «Fortuna» aveva detto tre anni fa, quando è arrivata la prima stella, a proposito della sua convocazione ad Alba, «e un po’ di conoscenze giuste».

Finita l’infanzia tra Carate e Viganò, è a Monte Olimpino (Como) che Crippa è cresciuto. Là c’è la scuola alberghiera e in quegli anni c’è un maestro: si chiama Angelo Colzani, di Barzanò, che da Penati – altro stellato – era passato a sua volta. «Si era lanciato nell’insegnamento per creare qualcosa di nuovo» racconta Crippa oggi. «Ma la mia fortuna è che nei due anni alla scuola lui c’era. E quando al termine del biennio era arrivato il momento degli stage lui mi mandò a Milano». Che allora, fine anni Ottanta, significava Gualtiero Marchesi, sangue blu della cucina italiana e capostipite dell’affrancamento della gastronomia sotto le Alpi. Anno: 1987.

«E alla fine Marchesi mi disse: se non hai niente di meglio da fare, resta qua», cioè in Bonvesin de la Riva, i fornelli che hanno decretato il big bang della haute cuisine subalpina. Crippa non si muove, da quei fuochi, perché allora l’Italia e la sua cucina stavano cambiando. «Erano gli anni d’oro di Marchesi, Milano girava a gonfie vele. E poi, c’erano soldi». Ma soprattutto – aveva detto sempre tre anni fa – «c’era la voglia di andare in Francia. All’epoca, l’esempio di professionalità, rigore, gerarchie, era là. Ed è stata un’esperienza durissima e bellissima, sempre in ristoranti stellati». Cioè La palme d’or, per due volte, oppure Le templiers, con un intermezzo alla corte di Luciano Tona a La fermata di Casatenovo.

«Ma eravamo “l’Italia ’90”, come ci chiamavano allora: io, Oldani, Lo Priore, Cracco, Budel. Poi è venuto il Giappone. Tre anni là (prima al New Otani hotel poi al Bistrot di Marchesi, a Kobe, quindi al Rhiga hotel, ndr). Era molto presente nella filosofia di Marchesi, e credo che nella vita di un cuoco sia molto importante andare nell’altra parte del mondo. All’inizio è sempre difficile, la mentalità è completamente diversa. È fatta di essenzialità, di purezza. E anche di grande umanità: arrabbiarsi è inimmaginabile. Senza contare che qualsiasi ritmo di vita è più lento: si lavora anche tutto il giorno, ma a tempi lentissimi. Per noi, là, abituati a lavorare tanto e in meno ore, significava arrivare a fine giornata distrutti».

Dieci anni in giro per il mondo. Tanti ne erano passati dallo svezzamento marchesiano in Bonvesin de la Riva. Ed era stata Francia, Giappone, Italia a stelle. Altrettanti ne mancavano per arrivare sulle pagine della guida rossa. «E sono stati anni di attesa. Quello che volevo era arrivare da Michel Bras», tre stelle, sud della Francia, Laguiole, terra di coltelli, contadini, sapori puri, erbe e tradizione. Quel po’ di Langa che Crippa ha ritrovato poi. «Ho provato per anni ad andare da lui, era sempre stato difficile. Poi è arrivato il mio turno ed è stata un’esperienza fondamentale. Ma intanto avevo incontrato la famiglia Ceretto. E loro avevano un progetto».

Tra Bras e Ceretto c’è stata solo una tappa: El Bulli, ovvero sua eccellenza Ferran Adrià, Roses, Catalogna, il punto di non ritorno della cucina internazionale nel 21esimo secolo. Il progetto si chiamava Langa, Eldorado della bonne cuisine sotto il San Bernardo. «Ceretto diceva: a Bresse con un pollo hanno creato un movimento internazionale. In Langa c’è carne, nocciole, vini, tradizione, passione. Eppure è un po’ spenta. Bisogna fare qualcosa». Quindi hanno chiesto a Carlo Cracco, con cui avevano già lavorato. «Dacci un nome», hanno detto loro. «Enrico Crippa» ha risposto. E Crippa fu. «Quel treno che passa una volta nella vita. E io l’ho preso». Dandogli nome Piazza Duomo, nel cuore della Langa, ristorante più piola aperti nell’autunno del 2006 e capaci prima e in meno di un anno di guadagnarsi non solo i gradi Michelin, ma anche quelli di L’Espresso, Gambero rosso, Veronelli e Slow food.

Poi, da ieri, due stelle. «Ci stiamo dando l’anima», aveva raccontato Crippa nel 2006. «Quel che mi resta della Brianza? Forse la mania del lavoro. Di certo ogni volta che torno a casa vedo due cose. Primo, che ci sono sempre meno colline, le colline della mia infanzia, portate via dal cemento. E non è così in Langa. In Langa, però, manca qualcosa. Là, i salami, non li sanno fare».
Massimiliano Rossin