Cinque nomination per Toy story Quaroni alla notte degli Oscar

Cinque nomination per Toy story Quaroni alla notte degli Oscar

Monza – Domenica sera indosserà il suo tuxedo nero – un filo lucido lungo la gamba, la fascia in vita, la camicia bianca e le scarpe nere – poi attraverserà il red carpet più celebre del mondo per infilarsi nella platea del Kodak theatre per gli Academy awards. Intorno Danny Boyle, i fratelli Coen, Natalie Portman, Javier Bardem e Nicole Kidman. Poi sarà la notte degli Oscar. Guido Quaroni ha impiegato 43 tre anni per essere lì, ad aspettare che a «the winner is» segua «Toy story 3»: perché quel film – ennesimo campione d’incassi della Pixar Disney – porta anche la sua firma.

È nato a Pavia ma è a Monza che è cresciuto: il liceo scientifico e poi la facoltà di ingegneria inseguendo il suo vero sogno, fare animazione. C’è riuscito, e da quattordici anni lavora in California nella più celebre casa di cartoonist del pianeta, quella che ha dato vita ai tre film con Woody e Buzz, a Monster and Co. (di cui sta già seguendo il secondo atto), a Cars e all’atteso sequel che uscirà nelle sale italiane il prossimo agosto. «Però sarò solo un invitato – raccontava dalla notte di San Francisco due giorni fa, aspettando la notte del cinema – non andrò certo a ritirare la statuetta: a quello penserà il regista, Lee Unkrich, ma sarà certo una serata straordinaria. Il fatto che abbiamo avuto sei nomination, cinque per Toy story e una per un cortometraggio di animazione, ci ha permesso di avere qualche biglietto in più. E allora saremo un bel gruppo di persone a seguire la serata. Insomma, spero di portare fortuna».

Fortuna ne ha già portata molta: il terzo capitolo di Toy story è uscito lo scorso luglio in Italia e ha permesso agli studios della Pixar di riconquistare il primato mondiale di incassi per un film di animazione. E il monzese Guido Quaroni – entrato nella casa californiana nel 1997 – ha avuto un ruolo centrale: supervisor e direttore tecnico dell’intera produzione. «Il lavoro è iniziato nel 2007 – ha spiegato – esattamente dieci anni dopo la mia assunzione. E io ho diretto l’intero aspetto tecnico del lavoro, vale a dire circa 130 persone, quasi la metà di quelli che hanno lavorato al film. Quello tecnico è il dipartimento più grosso: circa il 45 percento del lavoro, che poi per il 20 percento è occupato dall’animazione, per un 10 percento dai creativi e per il resto dai manager».

Circa 250 persone in tutto per un lavoro durato tre anni. «E a gennaio sono quattordici anni che lavoro lì. Diciamo che non mi posso lamentare – dice sorridendo – è quello che ho sempre voluto fare. A volte mi chiedo se non sia ora di cambiare, ma per ora va bene così». Tanto più che i cambiamenti sono continui: ogni due anni – spiega – è tutto da rifare, complici le evoluzioni tecnologiche. Nel frattempo è cambiata anche la sua vita: tre figli, di sei, tre e un anno, «una bella truppa, e alla fine vado al lavoro per rilassarmi». E l’Italia? «è sempre bellissima – racconta – ma forse lo è più come turista. Torno sempre, d’estate. Ma per viverci o lavorarci dà sempre molti problemi. Da qui l’impressione è di un generale caos». Di caos e precarietà. «I miei colleghi che fanno questo lavoro in Italia mi sembrano sempre in difficoltà. Ottimi progetti che poi magari svaniscono perché mancano i finanziamente adeguati. Lo vedo anche quando torno per tenere dei workshop, una o due volte all’anno. E poi invito gli studenti a vedere gli studi di Pixar. La differenza è enorme, per i rapporti di lavoro. Ma il sogno di una scuola di animazione italiana non l’ho cancellato. Forse verranno tempi migliori».

Tra il sogno della scuola italiana e quello della notte degli Oscar ci sono i nuovi progetti. «Monster and Co. 2, che abbiamo iniziato. Sono passati dieci anni, quindi tecnicamente si deve rifare tutto da capo. E poi il doppiaggio di ”Guido” in Cars 2, come nel primo episodio. Oltre ad avere aiutato i colleghi a immaginare i gesti e i modi di comportarsi degli italiani, per le animazioni. Monza? Monza non c’è, nel film, e non ho capito perché: hanno selto una città immaginaria, Portocorse. Eppure nei loro uffici c’era un bel poster dell’autodromo monzese».
Massimiliano Rossin