Medico e scienziato. Caustico e ironico. Nicola Dioguardi, barese con metà sangue friulano, classe 1921, sovraintentende scientifico di Humanitas e autorità a livello mondiale nell’area delle malattie del fegato, parla per la prima volta di un metodo rivoluzionario chiamato in Humanitas Dioguardi Histological Metrization, più brevemente DHM, che misura componenti del tessuto epatico con uno strumento detto Dioguardi Russo Histological Gauge (DRHG) o più brevemente, Metriser.
Teoria, metodo e strumento sono frutto interamente del pensiero e del lavoro di Humanitas. Sono il risultato di un sogno a lungo inseguito e passato attraverso importanti pubblicazioni scientifiche, che oggi è realtà. Il prototipo museale in bella mostra nello studio del professore prelude all’inizio di una fase di sperimentazione e successivamente diffusione a livello clinico.
Professor Dioguardi, qual è la funzione di questo strumento?
«Il Dioguardi Russo Histological Gauge, il Metriser, è in grado di misurare le strutture istologiche con assoluto rigore. La misura va oltre la descrizione, che può essere fatta con metodi diversi, tra questi dall’occhio nudo al microscopio. In altre parole, questo macchinario è destinato a cambiare il metodo di valutazione della biopsia epatica, perché per la prima volta permette di definire con un numero scalare in modo assolutamente oggettivo lo stato del fegato interessato dalla malattia e in cui è stata fatta la biopsia. Va sottolineato che oggi la lettura della biopsia epatica è affidata alla perizia ed esperienza del patologo, entrambe soggette alla sua affidabilità e alla sua stanchezza».
Quali sono i principi alla base del funzionamento di questa macchina?
«Il Metriser applica in termini informatici il ragionamento clinico ed arrivare ad una diagnosi. Utilizza la geometria frattale, disciplina matematica modernissima in grado di misurare i corpi irregolari come le strutture epatiche e le cicatrici (isole di collagene) che derivano dalle loro lesioni. Osservate al microscopio, queste si arricchiscono di particolari con forme che cambiano ad ogni ingrandimento, in quanto emergono nuovi particolari irregolari. Le cicatrici provocate sul fegato da malattie, come l’epatite cronica che porta alla cirrosi, sono un indicatore fondamentale per un concreto orientamento sulla dinamica della malattia, se cioè sta regredendo o peggiorando. Riuscire a misurarle significa, in termini terapeutici, conoscere con esattezza il livello di danno del fegato, e le opportunità per la prescrizione della terapia più adatta e per la valutazione con rigore dei suoi effetti».
«La valutazione interamente computerizzata affidata al Metriser stima, in micrometri, l’estensione dell’infiammazione e della fibrosi (cicatrizzazione) in termini di grandezze percepibili e misurabili. Un particolare software riesce a misurare con esattezza il perimetro, l’area, la rugosità del tessuto epatico superstite e delle componenti del processo epatitico cronico. Fornisce un epatogramma che, documentando con precisione il livello di cicatrizzazione del fegato, ci dà le informazioni necessarie per una corretta diagnosi e per valutare l’evoluzione della malattia, e di conseguenza l’efficacia della terapia. In questo modo riusciamo in un tempo ridottissimo – pochi secondi – a dare una valutazione quantitativa, oggettiva, che prescinde dal giudizio soggettivo dell’osservatore che la esamina».
Uno strumento di questo genere può limitare il contributo esperienziale del medico nelle sue scelte?
«Al contrario lo aiuta, dandogli la possibilità di gestire al meglio il paziente prendendo decisioni fondamentali, come ad esempio se smettere o continuare o modificare una terapia, impostare una cura. E’ un errore credere che misurare sia il tassello finale del follow up diagnostico. E’ vero invece che avere delle misure, ripetibili ovunque utilizzando la stessa metodologia, significa mettere le basi per un mondo con meno ipotesi e più dati reali. Una base oggettiva su cui fondare le successive valutazioni cliniche».
Perché e come si applica il metodo scientifico quantitativo alla Medicina?
«E’ una necessità. Ogni disciplina scientifica passa attraverso tre fasi, come postulato da Feigl. Nella prima i fenomeni vengono classificati con concetti qualitativi che definiscono cosa sono (per esempio infiammazione, degenerazione, neoplasia…). Nella seconda (semiquantitativa) i giudizi vengono espressi in categorie definite da numeri romani (da I a V). Infine nella terza fase (quantitativa) si cercano valori numerici ‘naturali’ scalari oggettivi, non legati al giudizio dell’osservatore utili per l’analisi statistica. In Medicina è molto difficile applicare il metodo scientifico quantitativo: si ha a che fare con oggetti naturali, fenomeni complessi e irregolari, definiti ‘frattali’. Impossibile, quindi, misurarli con i metodi matematici classici, stabiliti per misurare oggetti regolari. Sono descrivibili e misurabili solo con una geometria adatta, non solo quella frattale. La Medicina Quantitativa applica la geometria frattale alla misura di componenti normali e patologiche degli organi umani, prescindendo da valutazioni soggettive. Lo scopo è ottenere dati metrici, misure rigorose sulle quali basare diagnosi più esatte e veloci, stabilire cure più precise e ridurre il grado di confusione e discrepanze di pareri, qualunque sia la complessità del caso discusso».
Vuole raccontarci un episodio o un aneddoto di questi anni di lavoro?
«In questi anni ho continuato il mio lavoro con ostinazione. Fondamentale per me è stato, agli inizi, l’incontro con il professor Francesco Brambilla, docente di Statistica presso l’Università Luigi Bocconi di Milano, che si innamorò del mio progetto e mi insegnò cosa fare. Ricordo ancora che mi disse: ‘Lei ha in testa un’idea molto valida. Ma perché riesca a realizzarla devo insegnarle alcuni elementi di fisica che non può trovare sui libri’. Con questi principi abbiamo lavorato insieme al mio progetto per cinque anni, mettendo insieme tutti gli elementi necessari per passare poi all’applicazione pratica».
C’è qualcuno che vuole ringraziare?
«Prima di tutti il dottore in informatica Carlo Russo, fondamentale per la realizzazione della macchina, intendo il Metriser, e, per la soluzione di non pochi e difficili problemi matematici e statistici, la dottoressa Emanuela Morenghi. Inoltre le mie ‘ragazze’, bravissime istologhe: Barbara Franceschini e Sonia Di Biccari, che hanno analizzato con rigore e infinita pazienza i numerosissimi campioni di tessuto studiati. Sicuramente la Fondazione Rodriguez, che ha sostenuto il Laboratorio di Medicina Quantitativa di cui fa parte il Laboratorio per la Ricerca di Misure Metriche in Medicina, dove è nato il Metriser. Devo, infine, sottolineare con gratitudine l’apporto lavorativo di Stefano Musardo, brillante studente del Corso di Biologia Molecolare e Funzionale».