Ha tenuto banco questa settimana la scelta di un noto liceo torinese di impiegare l’asterisco in luogo di sostantivi o aggettivi connotativi dal punto di vista sessuale. Così termini come “studente” e “studentessa” saranno sostituiti dal neutrale “student*”. I suoi sostenitori sono convinti che questo modo di comunicare combatterebbe la discriminazione di genere. C’è chi, però, non è d’accordo. Tra questi la dirigente scolastica e già deputata brianzola Elena Centemero, che ha spiegato come, a suo modo di vedere, non sia l’asterisco a permettere “una vera inclusione”, bensì il “superamento delle disuguaglianze”, “delle discriminazioni” e “delle disparità”. Una presa di posizione di buonsenso. Soprattutto in un momento segnato da una crisi economica e sociale importante (dati recenti hanno segnalato come anche in Brianza sia aumentato vertiginosamente il ricorso al reddito di cittadinanza) che fa sì che i problemi più urgenti siano sicuramente altri. E se la maschera di certo radicalismo “politically correct” è quella della preoccupazione di vedere discriminate talune minoranze, il volto sottostante è quello della distanza ormai siderale di una circoscritta ma influente élite culturale dal Paese reale e dalle sue necessità: di lavoro, di reddito, di diritti sociali. Elementi la cui mancanza è (quella sì) la più grave forma di discriminazione del nostro tempo.
A Ruota Libera, l’editoriale del direttore: l’italiano e l’asterisco, maschera e volto del radicalismo “politically correct”
L’evoluzione del linguaggio inclusivo nell’editoriale del direttore del Cittadino Cristiano Puglisi.